Se quasi nessuno sa chi ci sia attualmente al governo in Olanda, come mai all'improvviso tutti sembrano così interessati alle elezioni politiche che si terranno tra meno di un mese nella terra dei tulipani?

La risposta, semplice, ha un nome ed è Geert Wilders: il leader del partito populista di destra, attualmente in testa nei sondaggi, che minaccia di far proseguire il ciclo di shock elettorali globali iniziati con Brexit e Trump, inserendo un altro grimaldello nella fragile impalcatura europea e preparando la strada al Fronte Nazionale nelle successive elezioni francesi.

Una risposta più complessa, e probabilmente più utile, può essere ricercata attraverso alcune chiavi di lettura del contesto geopolitico di un paese che, pur avendo dato i natali a Van Gogh, Van Wood, Van Halen e Van Basten, resta largamente sconosciuto.

Per la maggior parte degli italiani, l'Olanda è infatti soltanto un piccolo paese da cartolina, che si immagina fuori dal tempo e dalla realtà. All'opposto, chi c'è stato di persona porta generalmente con sé un'esperienza comunque limitata a pochi giorni di turismo nei quartieri più giovani e alternativi di Amsterdam. La somma di questi due fenomeni è che davvero pochi, in Italia, siano in grado di tracciare un'immagine realistica dei Paesi Bassi. Qualcosa che vada oltre il doppio cliché: da una parte zoccoli, fiori e mulini a vento, dall'altra droghe libere, calcio totale e prostitute alle finestre.

Così diamo per scontate le piste ciclabili, ma scordando che i politici visionari che le imposero insieme alle zone pedonali (e soltanto a partire dagli anni '70) lo fecero tra proteste e attentati, insistendo nel disperato tentativo di fermare le stragi di bambini che ogni giorno si ripetevano su strade dominate dalle auto. O ci immaginiamo tutele da socialdemocrazia scandinava, quando, ad esempio, in Olanda neppure la gestione della sanità è pubblica. Questa è, invece, affidata ai privati, con assicurazioni obbligatorie a pagamento: un modello molto più simile agli USA che agli altri paesi europei.

Insomma un luogo vero, con problemi veri. Talvolta capace di trovare vere soluzioni, con pragmatismo. E le significative diversità e complessità sociali che si concentrano nei pochi chilometri quadrati (circa un settimo dell'Italia) di terre reclamate all'oceano che compongono i Paesi Bassi si riflettono in modo profondo sulla loro struttura politica e di governo.

Attualmente i 150 seggi alla Camera dei Rappresentanti sono suddivisi tra ben undici partiti. Il principale, grazie al 26,6% ottenuto alle elezioni del 2012, è il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (VVD, di centro-destra), il cui segretario Mark Rutte è anche premier del governo di coalizione formato con la seconda forza del parlamento: il Partito Laburista (PvdA, di centro-sinistra).

La seconda fascia di partiti è composta da quattro formazioni attorno al 10%: i conservatori dell'Appello Cristiano Democratico (CDA), per molti anni principale partito del paese ma precipitato nei consensi negli ultimi dieci anni; il Partito Democratico 66 (D66) di ispirazione liberale e progressista, il Partito per la Libertà (PVV) ideato da Geert Wilders anticipando le spinte populiste e nazionaliste che oggi vediamo all'opera in tutta Europa e il Partito Socialista (SP), che sotto l'attuale leadership è tornato ad avere successo grazie a un profilo quasi altrettanto populista di quello di Wilders, ma ripulito dagli elementi razzisti.

Infine cinque partiti minori: altri due di matrice cristiana (tra cui il Partito Politico Riformato, che ritiene che le donne non dovrebbero avere un ruolo nella politica ed è accusato da alcuni di aspirare a una teocrazia), la Sinistra Verde, un Partito Animalista e un partito dei pensionati (50+) che i sondaggi segnalano in grande crescita.

Tutto questo però sta per essere rivoluzionato dalla tornata elettorale che si terrà il prossimo 15 marzo. In particolare, gli esperti prevedono un forte indebolimento del VVD e un tracollo per i Laburisti, annullati agli occhi degli elettori dall'esperienza di governo di grande coalizione. Entrambi dovrebbero essere scavalcati proprio dall'exploit del PVV di Wilders, che per tradizione dovrebbe quindi essere incaricato di formare il nuovo governo in quanto segretario del principale partito.

La prospettiva terrorizza non soltanto l'UE, ma la maggior parte dei partiti olandesi, che si stanno organizzando per arginare la sua crescita e impedirgli di riuscire a formare una coalizione post-elettorale che gli consenta di ottenere quella maggioranza che nessun partito da solo potrà raggiungere. E in questo scenario giocheranno una funzione cruciale anche i partiti più piccoli.

Ma come si è arrivati a questa situazione?

A differenza che in casi analoghi in altri paesi, appare subito evidente come il timore e la rabbia che muovono gli elettori olandesi non siano certamente una conseguenza immediata della situazione economica. Anzi, nonostante le sue piccole dimensioni, i Paesi Bassi sono la quinta economia europea e il terzo paese per ricchezza pro capite. L'export è in crescita, la bilancia commerciale è nettamente in attivo, la disoccupazione dovrebbe calare ulteriormente nel corso dell'anno, fino a raggiungere il tasso record di 5,3%. Successi che sono frutto sia di scelte interne che di una congiuntura internazionale che ha favorito la natura mercantile del tessuto economico olandese, ad esempio come piazza per servizi finanziari e logistici.

Infatti, se da un lato la globalizzazione ha detronizzato il porto di Rotterdam (fino a una quindicina di anni fa il più trafficato al mondo e da allora sorpassato da vari scali asiatici) l'Olanda ha in gran parte beneficiato dalle attuali condizioni del libero mercato globale. Contesto nel quale continua a muoversi in maniera autonoma, per tutelare i propri interessi geopolitici anche rispetto agli altri paesi UE: ad esempio attraendo massicciamente capitali e aziende dall'estero, come le italiane FIAT e Ferrari, con un regime fiscale che si può eufemisticamente definire favorevole (e che l'organizzazione umanitaria Oxfam denuncia invece come pari a quello di Isole Cayman e Bermuda).

Non è, dunque, di questo che parlano allarmate le prime pagine dei giornali olandesi. Il tema attorno a cui ruota l'intera campagna è uno soltanto: gli immigrati di religione islamica.

A quindici anni dall'omicidio di Pim Fortuyn, che per primo portò il tema nell'agenda politica dei Paesi Bassi, il presunto fallimento del modello multiculturale olandese è ormai percepito da una crescente fetta di popolazione come un dato di fatto. Un nuovo problema a cui, con testardo pragmatismo olandese, occorre trovare una soluzione.

Come questo sia successo e perché molti olandesi pensino che questa soluzione possa essere posta in essere da Geert Wilders è ciò che tutti si stanno chiedendo. Di certo, gli altri partiti appaiono al momento incapaci di fornire soluzioni alternative. Lo stesso primo ministro in carica si ritrova allora a inseguire l'elettorato riproponendo le stesse tesi rese popolari dal PVV, soltanto riformulate in maniera meno aggressiva.

I suoi consiglieri non hanno, evidentemente, studiato con sufficiente attenzione gli insegnamenti della Brexit: una volta sdoganata l'intolleranza, tra l'originale e la sua versione annacquata, gli elettori scelgono l'originale. Qualunque ne sia il costo.

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