Il vertice del G7, che si svolge dal 26 al 28 giugno a Schloss Elmau, nelle Alpi Bavaresi, porta in dote un carico di aspettative e una serie di argomenti da discutere di estrema importanza, come ad esempio la necessità di trovare un fronte comune ancora più forte sul conflitto ucraino; le crescenti minacce alla sicurezza globale; gli effetti a lungo termine della crisi economica, energetica e climatica, la cui portata combinata potrebbe rivelarsi devastante. L’evoluzione del rapporto con la Cina si unisce a questa ricca rosa di questioni, ed è altamente probabile che il gruppo intenda proseguire le riflessioni inaugurate nel 2021.
Come sostanzialmente emerso durante il meeting dello scorso anno, uno dei principali obiettivi degli Stati Uniti è convincere gli alleati a prendere una posizione più decisa nei confronti di Pechino, soprattutto in relazione alle questioni che più influenzano l’equilibrio globale: questione taiwanese, contenzioso nel Mar Cinese Meridionale, e in generale il pericolo di un’espansione militare-strategica nella regione dell’Asia-Pacifico. Inoltre, durante il meeting di Carbis Bay si è discusso per la prima volta delle pratiche commerciali cinesi, definite coercitive e inique, e l’argomento verrà sicuramente approfondito, dato che sono emerse ulteriori preoccupazioni negli ultimi mesi, causate in primis dal rifiuto totale di Pechino di unirsi al concerto delle sanzioni verso la Russia. Infine, sempre durante l’incontro del 2021, il Gruppo dei 7 ha studiato un approccio comune verso determinate pratiche e questioni che riguardano la Cina, sostanzialmente accusando Pechino di ripetuti abusi dei diritti umani nello Xinjiang e di non rispettare il livello di autonomia politica che dovrebbe essere riservato ad Hong Kong.
In tutto ciò, la Cina è reduce da alcune settimane particolarmente impegnative, e non esattamente con i migliori auspici del caso. L’intensificazione dei lavori del Quadrilateral Security Dialogue (QUAD), un’alleanza strategica formata da Stati Uniti, Australia, Giappone e India, nelle settimane precedenti al G7 non è certamente casuale, così come la proposta giapponese di organizzare un incontro quadrilaterale a margine del meeting NATO, previsto in Spagna una volta concluso il G7, estesa a Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. Non è certamente la prima volta che la Cina si trova quasi accerchiata dagli Stati Uniti e dai suoi partner, ma in questa occasione sono emersi degli ulteriori elementi di confronto che rischiano di esacerbare ulteriormente un rapporto che è già precario.
Infatti, una delle novità più attese riguarderebbe una nuova fase del rapporto tra Cina e NATO. Pechino è tradizionalmente critica nei confronti dell’Alleanza atlantica, e per certi versi non potrebbe essere diversamente dati gli interessi cinesi e i capisaldi su cui si basa la sua politica estera, rimanendo coerente e consistente in questo anche dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Xi Jinping ha continuato a criticare la NATO, a suo modo di vedere incapace di prendersi le proprie responsabilità per lo scoppio della crisi ucraina e troppo pressante in quella che il leader cinese ha definito come vera e propria strategia di espansione. Le due parti non potrebbero quindi essere più lontane, e di conseguenza non dovrebbe rappresentare una sorpresa vedere la Cina nominata nello Strategic Concept 2022 della NATO, un documento di respiro decennale finalizzato a indicare le principali sfide alla sicurezza e delineare le strategie politiche e militari che l’associazione metterà in atto per rispondere. Il documento verrà rilasciato proprio a margine del summit di Madrid, e nonostante la Russia continui a rappresentare la più seria e tangibile minaccia per il futuro della NATO, è altresì plausibile che Pechino sia sostanzialmente la coprotagonista.
Come accennato in precedenza, viviamo un periodo di profondo confronto politico e ideologico tra Cina e Occidente: il blocco NATO critica la Cina per non aver apertamente condannato l’aggressione russa, mentre la Cina accusa la NATO di essere una concausa nello scoppio delle ostilità. Cercando di andare oltre la sostanziale inaccuratezza di entrambe le accuse, la frattura è innegabile ed è stata ulteriormente esposta durante l’ultimo meeting tra Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, gruppo conosciuto con il famoso acronimo BRICS. Pechino era l’host virtuale del meeting, che Xi Jinping ha aperto con un discorso che reitera la sua visione sulle sanzioni unilaterali imposte alla Russia, definite come un’arma a doppio taglio e un boomerang che strumentalizza, politicizza e militarizza l’economia mondiale. Ha poi concluso con un’altro chiaro riferimento all’Occidente, accusando coloro che sfruttano la loro preminenza nel sistema finanziario e monetario internazionale per imporre delle sanzioni avventate, che finiranno per danneggiare tutti e far soffrire sempre più persone in tutto il mondo. L’intervento di Xi è stato poi seguito da quello degli altri leader del gruppo, tra cui Vladimir Putin, che ha sostanzialmente ripetuto come la Russia sia disposta a una cooperazione onesta e reciprocamente vantaggiosa, visto come l’unico modo per uscire da una crisi causata dalle politiche egoistiche e sconsiderate di alcuni Stati. Le sanzioni hanno inoltre fortemente contribuito all’aumento della disoccupazione e alla scarsità globale di determinati alimenti, materie prime e componentistica necessaria per una vasta gamma di produzioni.
La Cina è indubbiamente il Paese che più ha criticato il sistema delle sanzioni, opponendosi ad esso in ogni modo, ma ciò non significa che sia una voce isolata, anzi. Il gruppo BRICS è così importante per Mosca proprio perchè è compatto nel rifiutare le sanzioni, permettendo così al governo russo di trovare nuova linfa per il proprio commercio. Putin ha infatti dichiarato che, nonostante i gravi problemi causati dalle sanzioni, il volume degli scambi commerciali tra la Russia e gli altri quattro partner è aumentato, prevedendo un altro balzo in avanti nel prossimo semestre. In chiusura del meeting, Xi Jinping ha promesso un ulteriore controllo sulla strategia macroeconomica cinese, in modo che possa sostenere lo sforzo del Paese nel raggiungere gli obiettivi di sviluppo economico e sociale fissati per il 2022. Inoltre, con un chiaro riferimento agli Stati Uniti e i suoi partner, ha ribadito la volontà della Cina di aprirsi sempre di più al mondo, con l’obiettivo di costruire un sistema ecomomico più aperto e inclusivo, basato su una comunità internazionale orientata al mercato e incentrata sullo Stato di diritto.
Nonostante la cooperazione in determinate aree prosegua in maniera più che soddisfacente, Cina e Occidente sembrano così lontani da appartenere quasi a mondi diversi e inconciliabili. Pechino accusa la formazione di una piccola cricca di potere che non fa che interferire nelle sue questioni interne, mentre Washington e i suoi alleati continuano ad accusare un revisionismo e un’assertività militare che vanno in contraddizione con il titolo di potenza responsabile che è stato spesso affiancato a Pechino. A questo si aggiunge l’ulteriore layer di conflittualità dato dal diverso approccio verso la Russia. In un momento di grave crisi, sotto molteplici punti di vista, è necessario che la distanza tra i due principali poli globali si riduca, non che aumenti verso nuovi record negativi.