Guerra di aggressione; guerra di resistenza; guerra di attrito e di logoramento; guerra economica; guerra di propaganda; guerra cyber_;_ guerra per procura. Come sempre, e come è inevitabile che sia, sono tante e plurime le guerre in corso in Ucraina. In questa essenziale tassonomia, convergono forme di conflitto antiche e moderne, perché la guerra – le sue forme, le sue pratiche, i suoi strumenti – muta inevitabilmente al mutare della tecnologia ad essa applicata così come all’evoluzione di un ordine internazionale dove vi ricorrono sempre più anche attori non statuali e transnazionali. La guerra rimane però anche ancestrale nei suoi tratti fondamentali: nel suo basarsi sul dispiego della violenza come strumento di coercizione per piegare il nemico alla propria volontà e ottenere gli obiettivi politici prefissati, siano essi l’ingrandimento territoriale, il cambiamento di regime, la creazione di condizioni negoziali più vantaggiose o l’accrescimento del capitale simbolico, ad esempio in termini di credibilità di un dato impegno, che una vittoria militare può generare.

Obiettivi tutt’altro che esclusivi, questi, soprattutto in conflitti che hanno riverberi internazionali e che coinvolgono, sia pure indirettamente, attori dal raggio di azione e dagli interessi globali, come nel caso appunto della guerra in Ucraina. Che è anche – anche, non solo – una “guerra per procura”, una proxy war, come rimarcano ormai molti commentatori e hanno cercato da subito di affermare gli stessi leader ucraini, dal presidente Zelenskij al sindaco di Kiev, Vitalij Kličko. I quali, per ovvie ragioni, hanno a più riprese sottolineato come l’Ucraina stia combattendo per una causa e per degli interessi che vanno ben oltre quelli della sua semplice indipendenza e sovranità: per l’Occidente e la democrazia, in una declinazione a forte contenuto ideologico; per evitare che un successo russo possa dare il là a un inarrestabile domino revisionista, in Europa centro-orientale e, magari, in Estremo Oriente, in una lettura forse più concreta e sostanziale.

La caratterizzazione di questo conflitto come guerra per procura pare generare polemiche immotivate, che riflettono in una certa misura la polarizzazione del dibattito pubblico. Chi la fa propria vi ritrova l’evidenza di come a muovere le fila sarebbero una volta ancora attori esterni, e nel caso specifico gli Stati Uniti, cinicamente impegnati a usare questa guerra – e il sacrificio della popolazione ucraina – per ottenere l’obiettivo di indebolire la Russia e magari generare un cambiamento di regime a Mosca. Chi la rigetta, spesso in diretta reazione a queste interpretazioni, enfatizza ovviamente la natura autonoma della difesa ucraina denunciando la propensione dei teorizzatori della guerra per procura a minimizzare o addirittura negare l’aggressione russa, e il disegno revisionista che vi sottostà, come matrice originaria del conflitto.

La storia delle guerre per procura – così comuni e diffuse durante la guerra fredda – ci indica la necessità di uscire da questa polarità e dagli schematismi che essa genera. E ci ricorda come queste “procure” siano quasi sempre state il prodotto di un’interazione dialettica tra le due parti, chi la procura la conferisce e chi la riceve. Che esse certo riflettono la natura di un sistema gerarchizzato, ma non possono in alcun modo essere lette come la conseguenza di un’imposizione esterna o di un’assenza di autonomia ‒ di agency ‒ politica e operativa del soggetto/alleato minore che combatte (anche) per conto di quello maggiore. Quali sono allora le condizioni di una “guerra per procura” e in che modo le vediamo all’opera in Ucraina?

La prima è di natura sistemica. Rimanda cioè a un contesto – oggi come durante la guerra fredda – dove esiste una soglia oltre la quale un’escalation militare non può spingersi: quella di uno scontro militare diretto tra una grande potenza nucleare impegnata in un conflitto e un suo antagonista anch’esso dotato di armi atomiche. A quest’ultimo, se lo ritiene nei suoi interessi, non restano quindi che strumenti indiretti tra i quali il sostegno allo sforzo militare degli altri attori (non nucleari) che partecipano al conflitto, come nel caso dell’Ucraina. Tra la “procura” e l’impossibilità di una guerra nucleare esiste insomma una stretta interdipendenza.

La seconda condizione è invece legata alla contingenza ossia allo specifico andamento del conflitto. Non vi potrebbe essere procura se questa non promettesse un ritorno militare e politico. Chi ottiene questa procura deve cioè dimostrare di meritarsela: di poterne essere un beneficiario credibile. Di nuovo, tanti sono gli esempi che la storia internazionale contemporanea ci offre, si pensi solo ai casi del Vietnam del Nord e del crescente impegno sovietico e cinese a sostenerne la campagna militare per la riunificazione del Paese o all’appoggio statunitense alla resistenza afghana negli anni Ottanta. Questo elemento pare essere patentemente visibile anche nel conflitto ucraino. Dove la precondizione fondamentale della “procura” è stata appunto l’inattesa – e per certi aspetti straordinaria – capacità di resistenza ucraina di fronte all’aggressione di una potenza in teoria di molto superiore. Se è corretto parlare di proxy war, lo si deve insomma fare ribaltando la causalità spesso utilizzata: non è il sostegno europeo e statunitense che ha determinato la procura, ma la resistenza ucraina che l’ha in ultimo permessa.

Il terzo e ultimo aspetto è che le guerre per procura tendono a determinare non solo l’internazionalizzazione di un conflitto, ma anche la sua radicalizzazione e il suo contestuale prolungamento. L’era nucleare e la guerra fredda, tra loro strettamente sovrapposte, hanno offerto una condizione ambientale estremamente favorevole alle proxy wars. Guerre che, fuori dall’Europa dove la deterrenza nucleare operava in modo cogente garantendo una sorta di oppressiva ma stabile “Lunga Pace”, hanno finito per agire spesso come moltiplicatore di violenza. È un rischio che vediamo bene anche in Ucraina, acuito da uno stallo militare e da una crescita dei sacrifici sostenuti da entrambe le parti che rende oggi estremamente difficile negoziare o trovare una qualche via d’uscita dal conflitto.

Immagine: Un edificio residenziale danneggiato da un aereo nemico a Kiev, Ucraina (25 febbraio 2022). Crediti: Drop of Light / Shutterstock.com

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