Il nuovo papa verrà eletto nel prossimo conclave in base a considerazioni di carattere prioritariamente spirituale ed ecclesiastico, ed è possibile, come spesso accade quando si manifesta il sacro nelle terrene vicende, che non tutti i passaggi siano ricostruibili in termini razionali, che si acceda a quella sfera dell’indicibile, propria del mistico; nondimeno, secondo molti osservatori, valutazioni di ordine geopolitico faranno da sfondo alle scelte e, anche se non saranno decisive per l’esito del conclave, orienteranno fortemente i primi passi del percorso del nuovo pontefice. La mappa della Chiesa è cambiata; la tradizionale dialettica tra conservatori e innovatori si è molto evoluta dalle più radicali dicotomie del passato verso più articolati scenari, contaminati dai diversi contesti nazionali e continentali. Soprattutto, la dislocazione in perenne divenire di milioni di fedeli disegna altre centralità e fa emergere nuove capitali; il ruolo crescente dell’Africa e dell’Asia insidia il tradizionale eurocentrismo e si confronta con la consolidata Chiesa sudamericana. La composizione del conclave si accorderà con il presente e le solide eredità del passato, esprimendo soltanto parzialmente le tendenze di sviluppo del cattolicesimo: su 117 cardinali più della metà saranno europei (61) e gli italiani con 28 partecipanti si confermano la nazione più rappresentata. Undici voti esprimeranno invece sia l’Africa che l’Asia, ma i cardinali potrebbero voler guardare a un futuro non lontano, all’entusiasmo e alla vitalità di Chiese emergenti. La possibilità di un papa africano appare da più fonti accreditata e sono stati avanzati i nomi del cardinale nigeriano Francis Arinze e del ghanese Peter Turkson; sembrerebbe possibile un cambiamento di immagine se non di direzione ecclesiale, che potrebbe naturalmente esprimersi anche con altri nomi. In molti leggono nel modo in cui si è arrivati alla rinuncia di Benedetto XVI il sintomo di un malessere che non può più essere rimandato.