12 gennaio 2023

Il 2023 dell’UE, un anno di sfide

La guerra in Ucraina, la preoccupante nuova ondata di Covid-19 in Cina, i rapporti con l’alleato statunitense e le continue tensioni con Ungheria e Polonia sul rispetto dello Stato di diritto, la necessità di accelerare la transizione energetica verso le rinnovabili, ma soprattutto una crisi di credibilità senza precedenti che ha travolto il Parlamento europeo. Il 2023 si preannuncia come l’ennesimo percorso a ostacoli per l’Unione Europea (UE). Le sfide e le crisi che animeranno i prossimi mesi potrebbero riuscire a rafforzare le fondamenta dell’UE, come accaduto con la guerra in Ucraina. Oppure, se gestite male, a esacerbare tensioni latenti e divisioni fra popoli e governi, allontanando i cittadini dalle istituzioni comunitarie. 

 

Il conflitto in Ucraina

Il 24 febbraio sarà passato un anno dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. La guerra che nelle intenzioni del presidente russo Putin sarebbe dovuta essere di breve durata, si è trasformata in un logorante conflitto di cui non si riesce ancora a vedere il termine. Finora i Ventisette hanno dato prova di unità nel rispondere al conflitto, garantendo un inedito sostegno al governo di Kiev ed evitando lo sconfinamento delle ostilità. Tuttavia, la lunga durata dello scontro e i costi dell’invio delle forniture militari agli ucraini, oltre a quelli dovuti allo stop delle forniture energetiche russe, rappresentano una costante minaccia per i governi nazionali. Il sostegno da parte dell’opinione pubblica potrebbe infatti calare nei prossimi mesi a causa dell’inflazione galoppante, e in alcuni casi lo sta già facendo, con i partiti di estrema destra pronti a capitalizzare il malcontento a scopo elettorale. Compito dell’Unione Europea sarà quello di continuare a garantire una risposta coordinata al conflitto ed evitare ulteriori costi per i cittadini europei, già stremati da quasi tre anni di pandemia che hanno messo a dura prova la tenuta economica del sistema.

 

La transizione energetica

Grazie al risparmio sui consumi e all’aumento delle scorte di gas da parte dei Paesi europei (su spinta e coordinamento della Commissione europea), ma anche a un inverno piuttosto mite e all’accelerazione degli investimenti nelle rinnovabili, i cittadini europei hanno scampato il pericolo di passare i mesi invernali al freddo. Il problema potrebbe però ripresentarsi in maniera più strutturale nel 2023, quando le forniture russe non potranno più essere usate per riempire le riserve di gas europee. Vanno quindi sfruttati i prossimi mesi per investire in modo massiccio nella diversificazione delle fonti e nella transizione verde dell’energia. L’ennesima serie di catastrofi naturali che ha falcidiato il continente nel 2022 ha dimostrato – se ancora ce ne fosse bisogno – che non ci si può più permettere di perdere tempo nell’affrontare l’emergenza climatica. Grazie a nuovi strumenti come il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM), una sorta di tassa sulle importazioni da Paesi che non rispettano gli standard europei di lotta al cambiamento climatico, l’Unione conta di dare un’accelerazione decisiva alla propria azione per il clima. Un’azione che finalmente possa renderla leader nel mondo e spingere sulla stessa strada altri Paesi ancora riluttanti. Riuscire a mantenere alto il sostegno dei governi e dei cittadini sarà la vera sfida nel 2023.

Dopo i passi avanti fatti durante la pandemia da Covid-19, l’aumento vertiginoso del prezzo dell’energia dovuto al conflitto in Ucraina ha rischiato di mandare tutto a rotoli. Il nuovo fondo sociale per il clima, fortemente voluto dal vicepresidente della Commissione Frans Timmermans per aiutare famiglie e PMI nello stare al passo della transizione verde, non può permettersi di mancare il bersaglio.      

 

Una crisi di credibilità senza precedenti

Lo scandalo battezzato “Qatargate” sta minando nel profondo la credibilità non solo del Parlamento europeo, ma di tutto il “sistema comunitario”. Non importa quanti sforzi vengano fatti ogni giorno dalle diverse istituzioni dell’Unione per spiegare il proprio ruolo ai cittadini, darsi un’identità più definita, aumentare il proprio peso politico e la trasparenza delle decisioni. Per gran parte dell’opinione pubblica “Bruxelles” è una sola, granitica. Complice anche la retorica maliziosamente semplicistica di molti rappresentanti politici e un’oggettiva confusione dovuta a nomi di istituzioni che si somigliano e sovrappongono, l’inchiesta della magistratura belga che ha portato all’arresto – fra gli altri – della vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili potrebbe essere solo la prima scossa di un terremoto ben più grande capace d’investire l’intero panorama politico dell’Unione. La presidente Roberta Metsola sta lavorando a nuove regole interne per rafforzarne l’integrità e la trasparenza del Parlamento europeo. Perché se è vero che lo scandalo ha travolto un numero estremamente limitato di eurodeputati e assistenti, il timore è che sia solo la punta di un gigantesco iceberg, con conseguenze imprevedibili sulle elezioni europee della primavera 2024. Euroscettici, sovranisti ed estremisti di ogni latitudine si stanno già sfregando le mani sperando in un’ondata antisistema e di protesta che potrebbe portarli a Bruxelles fra un anno e mezzo. Metsola, che dal giorno del suo insediamento dopo la morte di David Sassoli sta vivendo uno dei mandati più complicati di sempre alla guida dell’assemblea di Strasburgo, avrà l’arduo compito di rispondere all’inchiesta con trasparenza e autorevolezza. Ma lo sbaglio più grande sarebbe quello di considerare il Qatargate come un affare che riguarda solo il Parlamento.    

 

Tensioni interne e il recovery plan alla prova dei fatti

La presidenza di turno svedese del Consiglio dell’UE e quella spagnola, che ne raccoglierà il testimone nella seconda parte dell’anno, avranno il duro compito di disinnescare le tensioni fra le capitali sul rispetto dello Stato di diritto. Per la prima volta, Ungheria e Polonia potrebbero vedersi tagliare risorse della politica di coesione e, nel caso di Budapest, del recovery plan. Come già successo con l’ultimo pacchetto di aiuti all’Ucraina e in decine di altre occasioni, lo scontro potrebbe allargarsi e tenere in ostaggio decisioni che necessitano dell’unanimità per essere prese.

La gestione dei flussi migratori e la risposta coordinata alla nuova ondata di contagi da Covid-19 proveniente dalla Cina saranno gli altri tavoli su cui la presidenza di turno e la Commissione europea dovranno mettere alla prova le proprie doti diplomatiche per evitare nuove divisioni e la mancanza di coordinamento.

Infine, il 2023 sarà l’anno in cui, dopo la corsa ai progetti e al raggiungimento degli obiettivi per sbloccare le prime tranche di finanziamenti, il recovery plan sarà finalmente messo alla prova dei fatti. È giunto il momento di vedere alcuni risultati concreti del più ambizioso piano per la ripresa mai varato dall’Unione Europea. Le risorse vanno spese entro il 2026 e non sono ammessi ritardi.

 

Immagine: Le bandiere europee nell’edificio del Consiglio dell’UE, Bruxelles, Belgio (20 luglio 2020). Crediti: Alexandros Michailidis / Shutterstock.com