Si è tenuta a Birmingham dal 30 settembre al 3 ottobre la Conference annuale del Partito conservatore. I Tories, al governo ormai da otto anni, hanno tuttavia avuto un approccio “nervoso” a questo importante appuntamento annuale. Sul governo di Theresa May gravano infatti due ombre piuttosto pesanti. Sul fronte esterno vi è la sempre più complicata trattativa per la Brexit, dopo il difficilissimo Consiglio europeo di Salisburgo. Sul fronte interno vi è l’opposizione ormai a viso aperto di Boris Johnson che, insieme ad almeno una quarantina di altri parlamentari, è deciso a far saltare il piano Chequers (e cioè costringere il governo a un NO Deal) oppure a far saltare la May e tentare la conquista della leadership dei Tories.

E dunque l’attenzione della quattro giorni conservatrice si è concentrata sul discorso di Boris Johnson e su quello conclusivo del primo ministro.

All’ex sindaco di Londra, a dimostrazione anche del clima che si vive all’interno del partito, non è stato concesso un intervento sul palco principale della Conference; Johnson infatti è intervenuto ad un “fringe event”, uno degli appuntamenti collaterali. Facendo ricorso a tutta la sua grande arte oratoria l’ex ministro degli Esteri ha detto senza mezzi termini che l’accordo di Chequers va “soffocato” perché non sarebbe altro che una vittoria dell’Unione Europea che riuscirebbe, imponendo un accordo molto punitivo nei confronti del Regno Unito, a dimostrare a chiunque volesse uscire dall’UE a cosa si va incontro. Non senza un filo di sarcasmo Johnson ha affermato che sostenendo questa posizione non si fa altro che rafforzare la leadership e gli sforzi di Theresa May che, cedendo all’Unione, consegnerebbe altrimenti il Paese ai laburisti. Al di là degli interventi ufficiali, Johnson si sta muovendo per trovare il numero di parlamentari necessario per tentare la spallata alla May, con le prime lettere di sfiducia che sono già state inviate al capogruppo Tories. Dopo aver tentato con il referendum di rubare il posto a Cameron nel 2016, ora Johnson pare voler ritentare l’operazione con la May sfruttando lo stallo in cui si trovano le trattative.

La Conference del 2017 per la May era stato un vero e proprio disastro mediatico: durante il suo discorso si era dovuta fermare molte volte a causa di un fortissimo mal di gola che le impediva di parlare, un pezzo della scenografia ad un certo punto si staccò mentre parlava ed infine un contestatore dal pubblico le aveva consegnato una “lettera di licenziamento”.

Visti questi precedenti, dunque, vi era molta attesa per il discorso di quest’anno anche alla luce delle tante difficoltà che ha dovuto affrontare la May in questo anno burrascoso.

Dopo un’entrata molto scenografica e già diventata virale sui social, sulle note di Dancing Queen degli Abba – un riferimento ironico alle critiche ricevute per i suoi passi di danza incerti nel viaggio istituzionale in Africa della scorsa estate – la May ha tenuto un discorso molto duro nei confronti del Partito laburista e in particolare del leader Jeremy Corbyn, descritto senza mezzi termini come un pericolo per il Paese. I Tories, secondo la loro leader, devono ora occupare il campo moderato lasciato totalmente sguarnito dal Labour spostatosi ormai radicalmente a sinistra.

Sul punto più atteso, quello della Brexit, la May ha spiegato che il suo piano è l’unico che possa da un lato dare seguito al voto popolare del referendum e dall’altro garantire gli interessi britannici una volta usciti dall’Unione. Il primo ministro ha però sottolineato di non avere nessuna paura dell’eventualità di un NO Deal e che dunque non è disposta ad accettare un accordo qualunque. Alla luce di queste parole e dell’indisponibilità annunciata dall’Unione di accogliere l’accordo di Chequers, l’eventualità di una hard Brexit si fa sempre più concreta.

Sul fronte interno vi è stato forse l’annuncio più sorprendente: la May ha infatti proclamato, di fatto, la fine dell’austerità che ha definito l’agenda di governo dei Tories negli ultimi otto anni. Nella finanziaria che verrà presentata in questo autunno, ha affermato il primo ministro, non ci saranno ulteriori tagli alla spesa pubblica.

Una piccola rivoluzione copernicana dovuta probabilmente ai sondaggi che danno il Labour in leggero vantaggio sui Tories, ma che, soprattutto, dicono chiaramente che le proposte di Corbyn in tema di investimenti pubblici, nazionalizzazioni e spesa sociale sono accolte con straordinario favore dall’elettorato britannico.

Crediti immagine: Financial Times. Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

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