Muoversi nella politica libanese significa entrare in un gioco complesso di alleanze in cui si intrecciano partiti, clan, comunità etnico-religiose pronte a tutto pur di ottenere una maggioranza parlamentare all’interno di un sistema multiconfessionale che garantisca un equilibrio delle cariche tra cristiani, musulmani sunniti e musulmani sciiti.

L’attuale presidente Michel Aoun fu eletto quasi un anno e mezzo fa dall’Assemblea nazionale composta da 128 deputati e che di fatto verrà rinnovata alle legislative del 6 maggio 2018 sulla base di una nuova legge elettorale. Così, dopo quasi nove anni di sospensione del voto a causa di una serie di rinvii dovuti alle tensioni tra schieramenti aggravatesi come conseguenza della guerra in Siria, i cittadini libanesi torneranno finalmente alle urne. I manifesti dei partiti politici che parteciperanno alla corsa parlamentare hanno già conquistato le pareti di Beirut, e a Nejmeh Square, nel pieno centro della capitale, dove si trovano gli uffici dei deputati, è un via vai di giornalisti. La campagna elettorale è appena cominciata insieme all’inizio delle negoziazioni tra segreterie di partito. Tutti sono impegnati a studiare i tecnicismi della nuova legge elettorale, svolgono simulazioni di voto ma soprattutto intavolano discussioni per costruire un circuito di alleanze per comporre le liste che dovranno imperativamente essere consegnate entro il 27 marzo.

A riceverci nell’edificio epicentro della politica libanese per commentare l’atmosfera che avvolge il Paese dei Cedri è Alain Aoun, deputato della Corrente patriottica libera (CPL) e nipote del presidente, candidato anche in questa tornata nella città di Baabda. «La nuova legge elettorale – spiega Aoun – segna l’inizio di una nuova era per la politica libanese perché è la prima volta che viene introdotto un sistema proporzionale. Questa legge è un evidente progresso rispetto al passato e scopriremo noi stessi all’indomani del voto la sua forza di cambiamento. Da un lato dunque gli elettori saranno meglio rappresentati, dall’altro i partiti libanesi sono costretti a migliorare la loro offerta politica perché questa riforma rende il voto molto più competitivo, sia per quanto concerne il collettivo sia per il singolo candidato». Oltre all’inserimento del proporzionale – con un voto di preferenza che sarà effettuato sulla base delle circoscrizioni, mentre la soglia di ammissibilità per ciascun candidato sarà equivalente al coefficiente elettorale – si registra la novità della possibilità di voto all’estero per la cosiddetta “diaspora” libanese. «Nelle liste dei votanti si sono iscritte solo 85mila persone. Ci aspettavamo qualcosa in più, ma è anche vero che tradizionalmente i libanesi preferiscono tornare in patria per votare» spiega il candidato della CPL. Tra i punti che invece sono rimasti intoccati vi è il non voto ai militari e il diritto di voto solo a chi ha superato i 21 anni.

In passato la Corrente patriottica libera, da cui proviene il presidente Michel Aoun, si è alleata con Hezbollah garantendosi una considerevole rappresentanza parlamentare alle ultime legislative del 2009 – ottennero 57 seggi su 128 e una buona parte dei ministeri – a fronte della maggioranza ottenuta invece dal blocco del 14 marzo. Questa volta però lo scenario potrebbe essere leggermente diverso, e alla domanda sui possibili accordi Alain Aoun risponde affermando che «il nostro è il partito presidenziale, abbiamo margini di manovra maggiori rispetto ad altri partiti. A differenza degli altri noi dialoghiamo con tutti, dai partiti sciiti di Amal e Hezbollah fino alla Corrente del Futuro di Saad Hariri e le Forze Libanesi di Samir Geagea». Ma assicura, come dimostrano anche i recenti incontri pubblici tra questi maroniti atipici e il “partito di Dio” sciita, che l’intesa dell’8 marzo firmata nel passato resta una certezza. «Quella con Hezbollah è un’alleanza politica che sta in piedi e continua: il suo frutto principale sta nella stabilità del Paese», dice.

Sulle pressioni israelo-americane, visti anche i recenti avvenimenti legati alle dichiarazioni di Trump su Gerusalemme e l’interventismo del governo di Tel Aviv in Siria, appare non poco preoccupato. «Temiamo le pressioni da parte degli Stati Uniti e di Israele per la nostra alleanza con Hezbollah ed è per questo che siamo andati più volte a Washington, per sensibilizzare l’amministrazione statunitense, per spiegare loro che il sistema politico libanese è molto complesso e non bisogna assolutamente provocare danni collaterali. Sappiamo che loro sono impegnati in un conflitto, ma non vogliamo che il Libano intero ne paghi le conseguenze». Ancora una volta sono i cristiani d’Oriente a giocare un ruolo di mediatori culturali della regione e la Corrente patriottica libera ne è la dimostrazione.

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