In Italia ci sono 59 basi militari americane. Si tratta del quinto avamposto statunitense nel mondo per numero d’installazioni militari, dopo Germania, con 179 basi, Giappone con 103, Afghanistan con 100 e Corea del Sud con 89. E se la fine della Guerra Fredda ha imposto un graduale disimpegno delle forze americane impegnate in Europa, negli ultimi vent'anni il Pentagono ha invece continuato ad investire sulle basi italiane, divenute negli anni vere e proprie rampe di lancio per operazioni in Africa e Medio Oriente. Mentre in Germania il numero di truppe americane è sceso dai 250.000 del 1989 ai 50.000 di oggi, in Italia il numero è rimasto invariato – 13.000 il personale militare – ma sono cambiate le proporzioni. Tradotto, se durante la prima Guerra del Golfo del 1991 la percentuale delle truppe americane era del 5% di quelle di stanza in tutta Europa, oggi è tre volte tanto, il 15% .
A rivelarlo è in un lungo articolo la rivista Mother Jones, che ha quantificato in più di 2 miliardi di dollari la spesa del Pentagono negli ultimi vent'anni per le basi di Napoli, Aviano, Pisa, Vicenza e per quelle in Sicilia. Basi che ufficialmente non sono classificate come americane, ma come avamposti NATO che ospitano oggi materiale, equipaggiamento e personale militare americano.
A contraddire le linee ufficiali che parlano di semplici “garrisons”, presidi, ci pensano i numeri. La base italiana di Vicenza – oggi rinominata caserma del Din – è stata recentemente ampliata grazie ad un progetto che in 8 anni è costato 304 milioni di dollari ai contribuenti americani. Duemila i militari al lavoro nella base, due garage a più livelli che ospitano più di 800 mezzi militari, e c'è persino una zona relax chiamata con impareggiabile gusto per l'iperbole “Warrior Zone” . Insomma una struttura all'avanguardia dove al suo interno c'è “tutto quello che ti aspetti da un'installazione del 21esimo secolo”, per dirla con le parole del Colonnello David Buckingam, al comando del U.S. Army Garrison di Vicenza. Quello che non ti aspetti, semmai, è che gli americani siano disposti anche a sborsare più del doppio di quanto speso per la base di Vicenza. È il caso di Aviano, fino ai primi anni '90 definita “valle addormentata”, divenuta poi pienamente operativa grazie ai 610 milioni di dollari spesi per il progetto di ampliamento con la costruzione di 300 nuove strutture. Un progetto reso possibile anche grazie alla concessione dello Stato italiano di 85 ettari a titolo gratuito e allo stanziamento nel 2004 di altri 115 milioni di dollari. Numeri che hanno fatto di Aviano la più grande base aerea americana del mediterraneo, che ospita uno stormo di cacciabombardieri F-16 – trasferiti dalla Spagna nel 1992 – e un arsenale di 50 bombe atomiche.
Da Aviano a Napoli in F-16 è un attimo, dove si può atterrare sulle piste della base di supporto navale all'interno dell'aeroporto di Capodichino, ampliata nel 1996 grazie ad un finanziamento del Pemtagono di 300 milioni di dollari. Qui, dal 2005 si è insediato il quartier generale europeo della Us Navy che collabora in piena sinergia con AFRICOM, il comando Usa per l'Africa. Ma la finestra sull'Africa prediletta dagli americani rimane per ovvie ragioni geografiche la Sicilia. Dall'ottobre del 2001, con l'avvio del nuovo anno fiscale, il Pentagono ha stanziato 300 milioni di dollari per i lavori di ampliamento della base di Sigonella . Numeri che ci dicono che gli Stati Uniti negli ultimi anni hanno investito di più in Sicilia – eccezion fatta per Vicenza - che in altre basi italiane. Uno sforzo economico che ad oggi ha portato Sigonella ad essere il secondo aeroporto militare più trafficato d'Europa e la prima pista da cui nel 2002 sono decollati in perlustrazione i droni Global Hawk.
L'utilizzo dei droni è poi diventato regolare prassi grazie ad un accordo Italia-Usa che dal 2008 consente agli americani di utilizzare gli hangar di Sigonella come base per i droni. Negli ultimi cinque anni, il Pentagono ha sborsato altri 31 milioni di dollari per la sola manutenzione dei Global Hawk. E per rimanere in tema, da Sigonella partono anche i droni del programma Alliance Ground Surveillance system della NATO. Progetto da 1,7 miliardi di dollari che consente di monitorare un raggio di 16.000 chilometri dalla base siciliana. Dal 2003 poi, un'altra operazione prevede che dalle piste di Sigonella partano i pattugliatori spia P3 per monitorare il nord-ovest africano. Mentre in tempi più recenti, nel giugno scorso una commissione del Senato americano ha autorizzato l'arrivo in Sicilia dalla Gran Bretagna di forze speciali e aerei da trasporto CV-22 Ospreys, e si lavora per costruire a Niscemi il MUOS, sistema di comunicazione satellitare voluto ad Washington e Roma, un po' meno ai dalla popolazione del luogo .
Le ragioni di un tale interesse sono essenzialmente geografiche: gli americani non rinunciano ad avere accesso diretto alle acque internazionali e allo spazio aereo del Mediterraneo, il tutto con una velocità di dispiegamento di forze che non ha eguali in qualsiasi altro punto sulla cartina europea. Ma c'è di più: l'Italia – come rivelato a Mother Jones da un ufficiale americano – è un Paese che offre flessibilità operativa, con poche restrizioni e piena libertà d'azione. Un paese dove, per utilizzare le parole dell'ex ambasciatore Usa in Italia Melvin Sembler, il “governo dà al Pentagono tutto ciò che vuole”.
Pubblicato in collaborazione con Meridiani Relazioni Internazionali