In questi giorni si sta consumando il dramma politico e umanitario dell’Afghanistan. Le milizie talebane hanno preso il controllo di gran parte del Paese, tra cui la capitale Kabul, senza praticamente combattere. L’esercito afghano, nonostante anni di addestramento e forniture militari da parte degli Stati Uniti, si è disfatto senza contrapporre una parvenza di resistenza. Gli stessi Talebani hanno definito il loro rapido successo come «inaspettato».

La rapidità dei fatti politici in Afghanistan ha messo in allarme i principali governi mondiali, confusi sul da farsi di fronte al rapido deteriorarsi della situazione dopo vent’anni di guerra strisciante andati sostanzialmente in fumo. Innanzitutto, non è al momento chiaro su quali Paesi il nuovo governo talebano potrà contare in maniera più o meno formale. Le democrazie occidentali, per ovvie ragioni, si sono già dichiarate fuori da qualunque forma di accordo con i Talebani. Possibili interlocutori privilegiati potrebbero essere invece Russia e Cina, i soli Paesi ad aver mantenuto le loro ambasciate a Kabul.

Un Paese a cui senza dubbio i Talebani guarderanno per costruire la loro agenda di politica estera è il Qatar. Da anni, infatti, Doha, svolge un ruolo di mediazione tra le varie forze, interne e straniere, coinvolte in Afghanistan, Talebani compresi. Lo storico accordo tra l’amministrazione Trump e i leader talebani in merito al ritiro degli americani dal Paese, accordo oggi considerato come il prodromo alla situazione attuale, è stato siglato a Doha, dalla quale prende anche il nome. I recenti meeting tra Talebani e forze politiche afghane continuano a tenersi nella capitale qatariota ed è pressoché certo che i futuri incontri per trovare un accordo di pace si terranno sempre a Doha.

Il ruolo del governo qatariota tuttavia non si limita all’organizzazione di colloqui tra i vari attori coinvolti in Afghanistan. Il piccolo emirato attualmente è impegnato a sua volta nel giocare un ruolo attivo rispetto ai recenti avvenimenti. Da diversi giorni Doha ha richiesto ufficialmente alla leadership talebana un cessate il fuoco e, a seguito della caduta di Kabul, il ministro degli Esteri qatariota Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al Thani ha incontrato una delegazione talebana per discutere del futuro assetto politico del Paese.

I legami tra Qatar e Talebani sono di lunga data e, come prevedibile, hanno provocato diverse critiche e accuse da parte dei Paesi occidentali. Nel corso della ventennale guerra civile afghana, diverse figure di spicco dei Talebani hanno trovato rifugio proprio in Qatar. Tra questi Abdul Ghani Baradar, che a seguito del suo rilascio richiesto dagli Stati Uniti al Pakistan nel 2018 è stato a capo dell’ufficio politico dei Talebani a Doha. L’ufficio politico è attivo fin dal 2014 ed è stato pensato dai Talebani proprio per stabilire un canale di comunicazione informale verso gli americani e il governo afghano allora in carica.

Doha ha sempre sostenuto di non appoggiare direttamente i Talebani, ma di svolgere un lavoro di mediazione voluto anche dagli stessi Stati Uniti. Queste rassicurazioni non sono comunque bastate a ripararsi dalle accuse mosse da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, i quali, tra le motivazioni indicate a giustificazione del loro embargo messo in atto nel 2017, hanno incluso proprio il sostegno attivo da parte di Doha a favore dei Talebani.

Per comprendere per quali ragioni uno stato così piccolo si sia deciso a prendere una responsabilità tanto rischiosa occorre necessariamente considerare la strategia di politica estera che il Qatar persegue da diversi anni. Nel suo porsi come mediatore tra gli Stati Uniti e i suoi alleati locali da una parte e i loro avversari storici dall’altra, Doha è convinta di trovare una sua collocazione strategica ben precisa e insostituibile, la quale le conferirebbe garanzie in merito alla propria sicurezza al netto delle dimensioni modeste. Questa certezza è stata messa a dura prova in occasione dell’embargo mosso dai propri vicini, una situazione creata dalla percezione che il Qatar avesse tirato troppo la corda al punto da passare non più come Paese mediatore bensì come forza doppiogiochista e inaffidabile. Ciò nonostante, il ruolo di “moderatore” più che assumere i contorni del diplomatico, potrebbe essere paragonabile a quello del giocatore di azzardo.

Già nel 2016, Doha invitò una delegazione talebana in occasione di un meeting dedicato alla pacificazione dell’Afghanistan. Appare evidente come da tempo il Qatar stia inseguendo una politica ad alto rischio instaurando un dialogo con uno dei gruppi più temuti e osteggiati a livello internazionale. La Realpolitik dell’emirato tuttavia sembra aver dato i suoi frutti: oggi il Qatar può vantare un vantaggio nel coadiuvare il nuovo corso politico dell’Afghanistan, un Paese la cui importanza strategica va di pari passo con la sua tragedia storica.

Un successo sotto ogni punto di vista dunque? Non necessariamente. La strategia qatariota sull’Afghanistan è stata incentrata sul dialogo informale tra Talebani e americani. L’impegno di Washington sul teatro afghano è la seconda colonna portante, assieme al non avere remore etiche nella gestione dei rapporti coi Talebani, su cui si basa la politica di moderazione del Qatar. La situazione attuale, tuttavia, appare radicalmente diversa; Joe Biden ha già dichiarato seccamente che non intende far tornare gli Stati Uniti in Afghanistan. Con il ritiro, non solo militare, ma soprattutto politico, degli Stati Uniti, le nuove grandi potenze con cui il nuovo Afghanistan dovrà avere a che fare non necessariamente saranno così ben disposte verso il Qatar o, più semplicemente, non avranno bisogno dell’apporto dell’emirato per dialogare indirettamente coi Talebani. Così come il giocatore al casinò inebriato da una serie di vincite decide di puntare tutto certo di una vittoria ormai sicura salvo poi trovarsi a bocca asciutta, oggi Doha rischia di vedere andare in fumo anni di lavoro a causa di un successo da parte dei suoi “protetti” troppo rapido e, quindi, incontrollato.

Immagine: Un campo di rifugiati nel Nord del Paese dopo il crollo nelle mani dei Talebani, Afghanistan (agosto 2021). Crediti: Trent Inness / Shutterstock.com

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