Di recente i governi degli Stati Uniti e del Canada e le autorità dell’Unione Europea (UE) hanno intimato ai propri funzionari di disinstallare dai propri smartphone TikTok, uno dei social media più utilizzati al mondo. Le ragioni sono legate ai timori di un possibile utilizzo dei dati raccolti da parte del governo cinese a fini, soprattutto, di spionaggio. TikTok, infatti, è un portale sviluppato e controllato dalla società cinese ByteDance. Le preoccupazioni si concentrano in particolar modo su alcuni aspetti della legislazione cinese, che consente al governo di Pechino di accedere arbitrariamente ai dati raccolti dalle aziende private del Paese. ByteDance da parte sua ha sempre rigettato queste accuse, sostenendo di aver predisposto server negli Stati Uniti e a Singapore ‒ e, a breve, in Irlanda ‒ proprio allo scopo di evitare tale scenario. Secondo l’azienda, infatti, i dati conservati in questi server sono soggetti alle legislazioni locali e quindi, dal loro punto di vista, esentati dal controllo governativo cinese.
Occorre, d’altro canto, sottolineare che Tik Tok non è un’applicazione utilizzata in Cina. ByteDance, infatti, ha creato un’azienda spin-off e un portale con caratteristiche speculari appositamente per il mercato cinese. Ciò nonostante, i governi occidentali non sembrano affatto convinti dell’efficacia di queste garanzie e lo hanno dimostrato, non solo vietandone l’utilizzo ai propri funzionari, ma incoraggiando i cittadini a disinstallare, a loro volta, l’applicazione. L’India, nel frattempo, è andata anche oltre, vietando direttamente l’utilizzo di TikTok sul proprio territorio. Le ragioni sono sostanzialmente le stesse dei governi occidentali, che si aggiungono a quelle determinate dall’attuale stato di tensione che caratterizza le relazioni tra il governo di Nuova Dehli e quello di Pechino.
Il rapporto difficile tra il social network cinese e le autorità governative di altri Paesi non è, tuttavia, un aspetto inedito. Già a partire dal 2020 l’amministrazione Trump aveva valutato l’opzione di bandire TikTok dal suolo americano, iniziativa poi lasciata cadere nel vuoto dal suo successore Biden. D’altra parte, è la prima volta che diversi governi, in così poco tempo, esprimono una tale preoccupazione nei confronti di TikTok, complice anche la sua letterale esplosione in termini di diffusione nel giro degli ultimi anni. D’altronde, piattaforme con sede in Paesi “occidentali” quali Facebook e Instagram, entrambe controllate dalla società Meta di Mark Zuckerberg, sono bandite in Cina. La situazione cinese per quanto concerne i social media e i servizi on-line è, difatti, piuttosto peculiare, con tutta una serie di servizi e soluzioni interne, dai social media all’e-commerce, che vanno a colmare il vuoto lasciato dall’assenza delle soluzioni diffuse all’estero. Una situazione piuttosto simile si sta configurando sempre di più anche in Russia per via della guerra in Ucraina e dello stato di crescente tensione politica con gli Stati Uniti e gli altri governi sostenitori di Kiev.
Sono due gli elementi che caratterizzano questo crescente processo di balcanizzazione dei servizi on-line ad ampia diffusione: il possibile utilizzo dei dati per lo spionaggio e l’uso politico di una data piattaforma ai fini di propaganda politica e sociale/valoriale. Difatti, anche le grandi piattaforme d’intrattenimento, quali Netflix, non sono esenti da controlli e pressioni esercitate da diversi governi. È il caso, ad esempio, della censura in Arabia Saudita della serie di approfondimento politico e stand-up comedy Patriot Act del comico Hasan Minhaj a causa di un episodio dedicato al caso Khashoggi e al principe ereditario saudita Mohammad bin Salman. D’altra parte il recente caso di TikTok dimostra come non siano solo i governi autoritari ad attivarsi per un maggiore controllo sull’utilizzo di Internet da parte dei propri cittadini. Occorre menzionare, a tal riguardo, l’audizione di Mark Zuckerberg al Congresso degli Stati Uniti nel 2018 in merito al caso Cambridge Analytica e alle policy interne a Facebook nella gestione dei propri utenti.
La balcanizzazione della rete per ragioni d’interesse nazionale è nota anche con il nome di Splinternet ed è un concetto risalente all’ormai lontano 2010. Si tratta di un fenomeno sostanzialmente opposto ai fondamenti di universalità e libertà che hanno reso possibile la rivoluzione tecnologica e sociale realizzata proprio grazie ad Internet. Questo cambio di paradigma è dovuto alla crescente consapevolezza, da parte di governi e istituzioni politiche internazionali, della centralità che ormai la rete ha assunto nella vita personale e sociale delle persone. Di fatto, la rete ha acquisito sempre di più le caratteristiche di un asset fondante negli equilibri di ogni Paese al pari delle risorse energetiche, infrastrutturali ed economico-finanziarie. Non sorprende, pertanto, la crescente spinta politica volta al controllo e, laddove, possibile, alla manipolazione in ottica politica delle possibilità offerte da Internet.
Al momento, tuttavia, tale processo interessa i servizi on-line ad ampia diffusione ed indicizzati dai motori di ricerca. Contestualmente, il deepweb, che rappresenta la gran parte dei contenuti effettivamente presenti in rete, continua a conservare la sua natura anarchica e libera dalle maglie del controllo politico locale. Ciò sta portando a una crescente barriera, soprattutto in termini di alfabetizzazione informatica, tra chi dispone delle competenze per poter accedere a un Internet effettivamente libero e coloro, la stragrande maggioranza, che volenti o nolenti dovranno accontentarsi di una rete “visibile” sempre più regolamentata e governata.
Gli sforzi dei governi per l’utilizzo di Internet come nuovo elemento della potenza nazionale potrebbero, tuttavia, rivelarsi vani nel medio e lungo termine. Una crescente limitazione del principio di universalità che ha tradizionalmente caratterizzato Internet potrebbe portare a un’erosione del suo potenziale e, di conseguenza, della sua effettiva centralità a livello tecnologico. Nuove tecnologie e sistemi d’informazione a larga diffusione potrebbero subentrare, se non sostituire, l’attuale rete che oggi tutti utilizziamo, obbligando di conseguenza i governi a ricominciare dal principio tale processo.