Un plauso da parte di Emmanuel Macron al «coraggio storico» degli interlocutori, nella consapevolezza che «se la Libia fallisce, l’intera regione fallisce con essa». E poi fotografie e strette di mano, a significare – forse più a beneficio di telecamera che non a riflettere il reale stato delle trattative diplomatiche – che la voglia di confrontarsi e di trovare una soluzione politica alla crisi c’è.

‘Soluzione politica’: è questa una delle locuzioni chiave messe nero su bianco nella dichiarazione congiunta del presidente del Consiglio presidenziale libico, Fayez al-Sarraj – alla guida del governo internazionalmente riconosciuto, – e dell’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, che si sono incontrati il 25 luglio a La Celle Saint-Cloud, alle porte di Parigi. Una soluzione che, hanno precisato le parti in causa, richiede un processo di riconciliazione nazionale che coinvolga tutti i libici, compresi gli attori istituzionali, militari e responsabili della sicurezza, pronti a dare il loro contributo pacificamente. Solo che sulla dichiarazione non è stata apposta alcuna firma, a testimonianza della persistenza di un clima in cui raggiungere la pace e la stabilizzazione della Libia resta impresa ardua.

Attendersi evoluzioni particolarmente significative dal vertice voluto da Macron sarebbe stato quasi utopistico, ma il documento congiunto rappresenta – per lo meno sulla carta – un passo in avanti. Accanto al già citato tema della necessità di trovare una soluzione politica, gli interlocutori hanno concordato un cessate il fuoco e l’astensione dall’uso delle armi, se non nella lotta contro il terrorismo. Ancora, le parti hanno dichiarato di voler procedere a un’integrazione nelle forze regolari dei combattenti che siano interessati a tale prospettiva, sollecitando in tutti gli altri casi il disarmo; inoltre, si è deciso di lavorare alla elaborazione di una roadmap per la difesa del territorio libico da tutte le minacce alla sua sicurezza, compresi i traffici di ogni tipo. C’è poi il capitolo elettorale: nella dichiarazione, viene espresso il solenne impegno a organizzare elezioni presidenziali e parlamentari il più rapidamente possibile, in cooperazione con le istituzioni interessate e sotto la supervisione delle Nazioni Unite. L’obiettivo, sotto il profilo della tempistica, sarebbe quello di arrivare all’appuntamento entro la primavera del 2018, ma riuscirci sarà difficile.

Infine, le parti hanno chiesto al Consiglio di sicurezza ONU di sostenere le linee guida contenute nella dichiarazione, invitando Ghassan Salamé – rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite – a procedere alle necessarie consultazioni con i diversi protagonisti del complesso panorama libico.

Questo il contenuto testuale del documento, frutto di un’iniziativa diplomatica che ha visto in prima linea il presidente francese Macron e lasciato da parte i tanti altri attori politici – statali, sovranazionali e internazionali – che da tempo sono coinvolti nel teatro di crisi. In questo senso, come ha osservato l’analista dell’European Council on Foreign Relations Mattia Toaldo, la semplice convocazione di un summit che abbia portato al confronto Sarraj e Haftar rappresenta per il capo dello Stato francese un risultato non secondario, quanto meno nella prospettiva degli obiettivi di Parigi. Nella nota che accompagna la dichiarazione congiunta, l’Eliseo ha sottolineato di aver voluto offrire un contributo alla pacificazione della Libia, tenendo conto delle iniziative già intraprese da organizzazioni quali l’ONU, l’Unione Africana, l’Unione Europea e la Lega Araba e degli sforzi profusi da Paesi come l’Algeria, l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti, il Marocco, la Tunisia e l’Italia. Nelle parole di Parigi c’è quindi spazio anche per Roma, che da tempo lavora con pazienza alla stabilizzazione libica attraverso contatti multi-livello approfonditi e continui, nonché tramite segnali rilevanti come la riapertura dell’ambasciata a Tripoli. L’Italia, ragionevolmente, continuerà a seguire la sua linea, ma ora l’Eliseo ha lasciato esplicitamente intendere di voler essere protagonista della partita, anche in forza dei suoi noti interessi geopolitici, geostrategici e geoenergetici tanto in Libia quanto nella regione del Sahel.

Dunque, quanto meno a livello mediatico e di immagine, Macron è uno dei vincitori del summit di La Celle Saint-Cloud. L’altro è – quasi unanimemente secondo gli analisti – il generale Khalifa Haftar. Come hanno ben evidenziato Karim Mezran ed Elissa Miller, già il precedente incontro nel mese di maggio ad Abu Dhabi con Sarraj aveva conferito all’uomo forte della Cirenaica una certa legittimazione internazionale, ma ora la sua posizione – a seguito dell’invito di un attore politico di peso come la Francia – risulta decisamente rafforzata, in considerazione peraltro del fatto che Macron ha chiaramente affermato che in capo ad Haftar c’è una ‘legittimazione militare’ come in capo a Sarraj c’è una ‘legittimazione politica’. Un passaggio questo evidentemente importante per l’immagine del generale, che al momento può già fregiarsi di importanti vittorie sul campo come quella di Bengasi e fare affidamento sul sostegno di realtà come gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto, oltre che su cordialissimi rapporti con la Russia di Vladimir Putin.

Adesso, sul terreno della politica, occorrerà dare sostanza alla dichiarazione concordata a Parigi: riuscirci, in un contesto articolato come quello libico, sarà per diversi motivi molto complicato. In primis, già sul cessate il fuoco possono esserci degli interrogativi, perché il concetto di ‘forze terroristiche’ – nell’idea di Haftar – appare piuttosto ampio e finisce per ricomprendere una serie di soggetti considerati dal generale a vario titolo ‘estremisti’, come i Fratelli musulmani. C’è poi il capitolo Sarraj, il cui governo riesce a controllare solo porzioni limitate di territorio libico. In proposito, l’affondo di Haftar è stato deciso, tanto che il generale si è spinto ad affermare che il suo interlocutore non controlla Tripoli e farebbe meglio a ‘lasciar perdere le fanfaronate’. Ancora, sarà essenziale valutare il ruolo che in questa fase giocheranno le diverse milizie libiche collegate alle varie tribù, perché la stabilizzazione del Paese passa anche – se non soprattutto – di qui. E poi, c’è da tener conto dei vari attori regionali che, ciascuno secondo le proprie strategie, cercheranno di far sentire la loro voce.

In questa complessa partita continua a esserci l’Italia: dopo il summit francese, Sarraj si è infatti recato a Roma dal presidente del consiglio Paolo Gentiloni, che ha annunciato l’invio da Tripoli di una lettera con una richiesta di sostegno tecnico attraverso unità navali italiane nel contrasto al traffico di esseri umani, un sostegno da svolgersi in acque libiche. La missione – ha precisato l’Italia – avverrà ovviamente nel pieno rispetto della sovranità di Tripoli, puntualizzazione resasi necessaria dopo che lo stesso Sarraj, rispondendo a quanto riportato da alcuni mezzi di informazione, aveva evidenziato come la sovranità nazionale restasse una ‘linea rossa’ da non oltrepassare. Già approvato dal governo, il piano di intervento sulla base delle richieste avanzate dalla Libia dovrà ora passare al vaglio del Parlamento.

Crediti immagine:  ANSA/EPA