Il destino del presidente siriano Bashar al-Assad potrebbe essere influenzato da alcune importanti novità in ambito “familiare”, giudiziario e diplomatico. Le ultime settimane, infatti, sono state costellate da alcuni eventi significativi in grado di condizionare non solo il presidente in sé, ma l’intera struttura di potere che domina la Siria da mezzo secolo. Con la comunità internazionale impegnata a fronteggiare la pandemia di Covid-19, dunque, dietro le quinte si sviluppano dinamiche che potrebbero disegnare la Siria di domani.

Procediamo in ordine cronologico. Il 23 aprile scorso è iniziato il Germania il processo contro il colonnello Anwar Raslan, un ex alto funzionario siriano accusato di aver organizzato e ordinato la tortura di migliaia di prigionieri durante i primi mesi della sollevazione contro il regime, deflagrata nella primavera del 2011. Raslan ha lavorato per anni ai vertici dei servizi di intelligence siriani, finché non ha disertato alla fine del 2012. Arrestato a Berlino lo scorso febbraio, l’ex ufficiale è alla sbarra nella città tedesca di Coblenza, con l’accusa di crimini contro l’umanità. Si tratta di un arresto e di un processo basati sul principio di giurisdizione universale, che attribuisce a un tribunale nazionale la giurisdizione su gravi crimini contro il diritto internazionale, anche quando non sono stati commessi sul territorio del Paese. Come vedremo, si tratta di un precedente importante per il futuro del nizam, la parola araba con cui si indica – letteralmente – il “sistema” di potere nei Paesi arabi. Spesso tradotto con “regime” dai media italiani.

Giovedì 30 aprile Rami Makhlouf, cugino materno di Bashar al-Assad, ha rilasciato una rara dichiarazione pubblica rivolgendosi al presidente a proposito di un ordine di sequestro dei suoi beni. In un video su Facebook, il ricco uomo d’affari ha dichiarato di aver offerto denaro per «assistere le persone» durante il Ramadan, ma di aver ricevuto minacce contro le sue aziende da parte degli apparati di sicurezza del regime. «Dopo le notizie su una donazione che avevamo programmato di fare durante il mese sacro del Ramadan per aiutare il nostro popolo, le cose sono andate fuori controllo», ha affermato Makhlouf. «Ci hanno intimato di fermare il nostro lavoro – ha spiegato il tycoon siriano – semplicemente perché abbiamo osato offrire assistenza pubblica ai bisognosi. Perché più sovvenzioni offriamo, maggiore è la maledizione che riceviamo?». L’accusa su cui si basa l’azione “persecutoria” delle forze di sicurezza sugli asset economici di Makhlouf, è quella di frode fiscale. L’imprenditore, proprietario della società di comunicazioni Syriatel, ha spiegato in video che la sua azienda serve circa 11 milioni di utenti e paga 12 miliardi di sterline siriane (23,4 milioni di dollari) in tasse, oltre che il 50% dei suoi utili al regime.

Lunedì 4 maggio, è risalita invece agli onori della cronaca internazionale una di quelle indiscrezioni che, se confermate, possono cambiare l’assetto geopolitico della Siria, un Paese che a marzo è entrato nel suo decimo anno di guerra civile. Il Consiglio russo per gli affari internazionali (RIAC, Russian International Affairs Council) prevede che la Russia, la Turchia e l’Iran siano in procinto di raggiungere un’intesa sulla rimozione del presidente siriano Assad. L’accordo includerebbe anche un cessate il fuoco definitivo in cambio della formazione di un governo di transizione che includa membri dell’opposizione al regime e delle FDS. Si tratta delle Forze democratiche siriane, unità curdo-arabe dominate dalle YPG (Yekîneyên Parastina Gel, Unità di protezione popolare) curde, che hanno avuto un ruolo essenziale nel contenere l’avanzata e nel ridimensionare i territori controllati dall’autoproclamato Stato islamico in Siria. A dare la notizia della possibile intesa tra Mosca, Ankara e Teheran per l’estromissione di Assad è il portale on-line Middle East Monitor (Memo), un sito in inglese con sede a Londra che si occupa in modo particolare del conflitto israelo-palestinese. Da molti osservatori internazionali, specialmente da giornalisti e autori dello Stato ebraico come l’editorialista Anshel Pfeffer, Memo è considerato «un’organizzazione anti-israeliana che spaccia teorie della cospirazione», ritenuto particolarmente vicino alle posizioni della Fratellanza musulmana. Si tratta, quindi, di una fonte parziale, con legami più o meno celati con l’islam politico sunnita. Ciononostante, la notizia di un possibile accordo per far fuori Assad, pattuito anche da suoi stretti alleati come Russia e Iran, offre comunque buoni spunti di riflessione sugli scenari aperti nel conflitto siriano.

Tornando al processo avviato in Germania a fine aprile, c’è da sottolineare che i pubblici ministeri tedeschi hanno messo sotto accusa non solo il colonnello Anwar Raslan, ma anche il suo sottoposto Eyad al-Gharib. Entrambi, consegnatisi spontaneamente alle autorità federali rispettivamente nel 2015 e nel 2018, hanno offerto testimonianze importanti sotto almeno tre punti di vista. Il primo è che, per ottenere asilo e protezione nel Paese europeo, Raslan e al-Gharib hanno dichiarato più o meno apertamente di essere nel mirino dei servizi di intelligence siriani. Il secondo è che, durante gli interrogatori, i due funzionari hanno ammesso quasi candidamente di aver perpetrato parte dei crimini di cui sono accusati. Al-Gharib, ad esempio, ha dichiarato in maniera solare di aver arrestato manifestanti durante le sollevazioni di piazza del 2011, di averli arrestati e portati nelle prigioni della sezione 251 di Damasco, una stazione dei servizi di intelligence siriana tristemente nota per analoghi episodi di violenza. Si parla di 4.000 casi di tortura, 58 decessi e 2 casi di stupro o violenza sessuale tra aprile 2011 e settembre 2012.

Il terzo elemento, quello forse più importante, è che il processo contro i due ex ufficiali siriani potrebbe avere importanti implicazioni a livello internazionale. Il Codice penale tedesco sui crimini contro il diritto internazionale, varato nel 2002, consente alle autorità della Germania di perseguire tutti coloro che commettono crimini contro l’umanità, anche se non hanno collegamenti diretti con la Repubblica federale. Secondo Anwar al-Bunni, avvocato per i diritti umani originario di Hama e impegnato da anni nel raccogliere le prove dei crimini di guerra commessi dal regime, il processo contro i due di Coblenza «è solo l’inizio della lunga strada verso la giustizia in Siria, al termine della quale potrebbe arrivare a processo lo stesso Assad». Parlando ai microfoni dell’emittente qatariota Al Jazeera, al Bunni spiega: «Abbiamo già presentato una causa contro di lui [Assad] al procuratore federale tedesco», sottolineando che «le prove raccolte durante il processo di Coblenza sosterranno il nostro caso contro Assad, mettendo l’intero regime siriano» di fronte alle sue responsabilità.

Dal punto di vista internazionale, in sede ONU, la questione dei crimini contro l’umanità commessi durante il conflitto siriano sembra essere ad un punto morto. Carla Del Ponte, già procuratrice capo del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, denuncia da anni la «mancanza di volontà politica» per andare a fondo sulla questione dei crimini di guerra in Siria. Per sei anni Del Ponte ha fatto parte della Commissione d’inchiesta indipendente dell’ONU sulla Siria, i cui lavori si sono impantanati a causa dei veti incrociati di Russia e Cina presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Nel suo libro In nome delle vittime definisce l’esito dell’inchiesta sulla Siria «la più grande delusione della sua vita». Se e quando i processi di Raslan e al-Gharib arriveranno a sentenza definitiva, non è da escludere che la partita possa riaprirsi anche a livello internazionale, vedendo coinvolto tutto “il sistema” e anche il suo vertice. Ossia, il presidente Assad.

Tornando, invece, all’affaire Makhlouf-Assad, quella che potrebbe sembrare una semplice querelle familiare è invece una vicenda densa di peso e di significato se analizzata alla luce del contesto siriano. Come sottolinea Hassan Hassan, analista per Foreign Policy, The Atlantic e The Guardian, Makhlouf e altri personaggi simbolo del nepotismo di regime non appaiono mai in pubblico, o lo fanno raramente. Makhlouf invece alterna un tono mellifluo, quasi sofferente, a picchi di sfida e di durezza nei confronti del potente cugino. Come sottolinea un’analisi del Center For Global Policy (CGP), Makhlouf non è solo parente di Assad, ma anche membro di quello che si può considerare il “cerchio magico” che quest’ultimo ha creato dopo aver preso il potere nel 2000 dopo la morte del padre Hafez. Dal punto di vista finanziario, la famiglia Makhlouf ha svolto un ruolo chiave nel “sistema” siriano. Negli anni precedenti la rivolta del 2011, Makhlouf era diventato la figura più importante della nuova élite imprenditoriale siriana, accumulando una ricchezza che, secondo le stime meno prudenti, si staglia addirittura sul 70% dell’economia siriana. I suoi interessi, infatti, non sono legati solo al settore delle telecomunicazioni, ma anche a infrastrutture, turismo, edilizia e tanti altri comparti dell’economia siriana. La famiglia Makhlouf ha anche intessuto reti di influenza tra ufficiali alawiti, organizzazioni criminali, gruppi paramilitari e figure religiose. In altre parole, Rami Makhlouf è un vero e proprio pilastro del regime di Assad.

L’uscita polemica del tycoon va inquadrata nel clima di crescente disappunto da parte dei russi nei confronti di Assad, del quale il rapporto del RIAC è solo l’ultimo capitolo. Secondo quanto riferisce il RIAC, la Fondazione per la protezione dei valori nazionali, vicina ai servizi di sicurezza russi e all’ufficio del presidente Vladimir Putin, ha condotto un sondaggio di opinione in Siria sull’eventuale permanenza al potere di Assad. Un’operazione che, qualora effettivamente praticata, metterebbe chiaramente sul tavolo l’ipotesi di un futuro scenario politico senza l’attuale presidente. A fine aprile, inoltre, l’Agenzia federale di notizie russa, meno famosa della Tass ma ben ascoltata tra i decision makers di Mosca, denunciava che «la corruzione a Damasco è diventata un problema grave tanto quanto il terrorismo». Quella della corruzione è chiaramente una pezza d’appoggio per picconare l’azione politica di Assad, ritenuto dai russi troppo incline ai desiderata iraniani sul teatro siriano.

Infatti, nella rete diplomatica che regge le sorti del conflitto siriano esiste ormai da qualche anno una spaccatura tra quello che si può considerare il fronte “moderato” – formato da Russia e Turchia – e il fronte “oltranzista” formato da Iran, milizie filoiraniane come Hezbollah e, appunto, il presidente siriano Assad. I primi, avendo considerato l’impossibilità di sciogliere il nodo di Idlib – l’ultima zona della Siria in mano a ribelli filoturchi e milizie jihadiste – spingono per una soluzione politica, chiedendo sostanzialmente a Damasco di concedere qualche apertura politica alle opposizioni. Dall’altra parte, Teheran e il “sistema” siriano spingono per il ripristino dell’integrità territoriale pre-2011 e, soprattutto, per il mantenimento dello status quo a livello politico.

Secondo gli analisti del CGP, Rami Makhlouf è tra gli oppositori più decisi di qualsiasi apertura politica verso le opposizioni o, peggio ancora, verso un governo di transizione. Agli occhi dell’imprenditore, si tratta di una minaccia esistenziale al “sistema” di cui costituisce una chiave di volta, e dunque alla sua sopravvivenza politica e commerciale. Questo lo pone in contrasto con la prospettiva russa e in linea con i propositi di mantenimento della situazione auspicati da Assad e dai partner iraniani. Tuttavia, dietro l’escalation contro gli interessi di Makhlouf potrebbero celarsi nemici interni, incoraggiati dal contesto generale. Tra questi sembra esserci la moglie di Bashar, Asma, intenzionata – secondo i rumors – a impegnarsi in prima fila per la ricostruzione del Paese. L’intervento di membri così stretti della famiglia presidenziale nel tessuto economico locale è una pratica abbastanza diffusa nei “sistemi” del Medio Oriente e del Nord Africa. Basti pensare a Leila Ben Ali, moglie del defunto presidenze tunisino Zine al-Abidin Ben Ali, proprietaria o socia di una vera e propria fortuna finanziaria fino alla sollevazione locale del 2010.

È tuttavia difficile pensare che Asma abbia da sola la forza per schierarsi contro una potenza come Makhlouf. Probabilmente, sostengono alcuni osservatori internazionali, anche altri attori siriani provano disagio per la ricchezza e l’influenza esercitata di Makhlouf sul presidente Assad. Questi “dissidenti”, quindi, potrebbero aver colto la palla al balzo di fronte alle sempre maggiori indicazioni di impazienza da parte di Mosca, cercando di estromettere in qualche modo Makhlouf. «La cosa più preoccupante per l’imprenditore siriano – spiegano gli analisti Faysal Itani e Bassam Barabandi – è che le azioni legali da parte del governo siriano» nei confronti di Makhlouf «non possono essere avvenute senza l’approvazione di Assad». I guai di Makhlouf, quindi, dimostrano che il conflitto ha creato nuovi centri di potere e rinforzato l’influenza delle potenze straniere sulle dinamiche interne al Paese.

La sfida che il presidente siriano dovrà prepararsi a combattere nell’immediato futuro è quella di trovare una posizione bilanciata tra alleati esterni e partner interni, i cui interessi non sono sempre in armonia gli uni con gli altri. Da una parte l’Iran con la sua agenda egemonica dura e pura, dall’altra la Russia che sembra ormai non escludere l’idea di una Siria senza l’ingombrante presenza del suo attuale presidente. Su questa situazione aleggia lo spettro del Covid-19, con un bilancio – aggiornato al 5 maggio 2020 – di 44 contagi e 3 decessi nel Paese. Il tutto mentre la giustizia internazionale, sulla scorta del processo di Coblenza, potrebbe rimettersi improvvisamente in cammino.

Immagini: Condizioni educative dei bambini ad Azez, città siriana situata al confine tra Turchia e Siria. I bambini fanno lezione in tenda, con acqua e fango (25 febbraio 2019). Crediti: quetions123 / Shutterstock.com

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