Il Giappone è una delle potenze più sottovalutate dello scenario globale. Il crescente rilievo della Cina in questo secolo ha infatti portato il dibattito pubblico occidentale a dimenticare Tokyo. Questo è avvenuto dopo che la “promessa” della crescita economica e della capacità industriale giapponese, che negli anni Ottanta aveva portato gli Stati Uniti a individuarlo come avversario commerciale, ha lasciato il campo al cosiddetto decennio perduto, da alcuni considerato un ventennio.
Il Giappone resta la terza potenza economica mondiale, ma da diversi anni non suscita più la curiosità quasi morbosa che ha caratterizzato la sua ascesa degli anni Settanta e Ottanta. Alcune delle categorie di lungo corso del dibattito politico degli Stati Uniti, come quella dell’impoverimento del cuore manifatturiero e industriale del Paese, si sono formate proprio nel confronto col Giappone. Così come durante l’amministrazione Reagan gli Stati Uniti hanno rafforzato in modo decisivo il loro sistema di controllo degli investimenti esteri, incentrato sul Committee on Foreign Investment in the United States (CFIUS).
Il G7 di quest’anno, in una nuova situazione internazionale, ha contribuito a riportare una certa attenzione sul Giappone, che tuttavia è ancora insufficiente rispetto all’importanza di un Paese che già da anni affronta la sfida dell’invecchiamento della popolazione. Ciò avviene nel nuovo scenario di sicurezza che ha portato tra l’altro il premier Fumio Kishida a visitare a sorpresa l’Ucraina lo scorso marzo, in esatta corrispondenza con la visita di Xi Jinping a Mosca.
La posizione della Cina è il fattore principale che guida una nuova stagione strategica del Giappone, dove sono importanti gli investimenti militari, anche sul piano multilaterale, come mostra l’ambizioso Global Combat Air Programme (GCAP) per lo sviluppo di un aereo da combattimento di nuova generazione entro il 2035 insieme a Italia e Regno Unito. E dove si colloca anche una certa distensione, ancora da confermare, con la potenza dell’Asia orientale con cui vi sono tensioni storiche: la Corea del Sud.
Per sottolineare il rilievo di Tokyo, occorre ricordare che il maggiore detentore di debito degli Stati Uniti oggi non è più, al contrario di ciò che spesso si crede, la Repubblica Popolare Cinese. È proprio il Giappone. Sull’influenza culturale, basterebbe ricordare il cinema di animazione del maestro Hayao Miyazaki o l’impatto globale che i manga e gli anime mantengono ancora oggi (pensiamo per esempio a L’attacco dei giganti). Il ruolo culturale del Giappone, da questo punto di vista, resta più significativo di quello di ogni altro Paese asiatico.
Per individuare il segnale principale del nuovo ruolo del Giappone, si può seguire il filo della tecnologia. Da un lato, le filiere tecnologiche possono essere campanelli d’allarme. Pensiamo alla competizione sulla mobilità elettrica, dove c’è una storica ritrosia da parte dei giganti automobilistici nipponici e dove Panasonic ha perso la sua leadership nelle batterie con l’ascesa della cinese CATL (Contemporary Amperex Technology Co. Limited). Dall’altro lato, una storia che merita di essere approfondita è quella dell’industria al centro della competizione globale: i semiconduttori. Come abbiamo ricordato, negli anni Ottanta c’è stato uno scontro profondo tra Washington e Tokyo in questo campo. In quel frangente, le imprese giapponesi perdono il treno della separazione tra progettazione e produzione, e non comprendono la rivoluzione di Morris Chang con TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company). Inoltre, negli anni Novanta Intel è in grado di recuperare e superare i rivali giapponesi. Nella competizione decisiva sulla litografia, i due giganti giapponesi, Canon e Nikon, risultano perdenti rispetto agli olandesi di ASML (Advanced Semiconductor Materials Lithography). Tuttavia, l’arretramento di Tokyo in questo campo non implica il suo annientamento. Per esempio, nella litografia a immersione, il ruolo di Canon e Nikon è ancora significativo, TEL (Tokyo Electron Limited), che nel 2022 ha fatturato oltre 16 miliardi di dollari, è una delle principali aziende mondiali di macchinari e i componenti chimici prodotti soprattutto dai giapponesi sono cruciali nelle fabbriche di semiconduttori.
Non solo. Il Giappone, oltre ad avere importanti realtà di ricerca, ha lanciato un piano ambizioso per mantenere le sue capacità e recuperare il terreno in alcuni segmenti dei semiconduttori. In particolare, l’iniziativa pubblico-privata Rapidus e il nuovo investimento di TSMC nella regione di Kumamoto, in partnership con realtà locali come Sony e Denso, mostrano quanto sia forte l’attenzione sul tema. Gli asset di cui Tokyo già dispone l’hanno resa interlocutore essenziale, assieme ai Paesi Bassi, per il funzionamento concreto dei controlli sulle esportazioni degli Stati Uniti a danno della Cina. Infine, chi vuole conoscere le supply chain tecnologiche ha in Nikkei Asia, proprietario del Financial Times, il miglior quotidiano di riferimento, grazie al lavoro eccezionale di giornaliste come Cheng Ting-Fang e Lauly Li.
Per tutte queste ragioni, bisogna smettere una volta per tutte di sottovalutare il Giappone.