Il primo ministro della Polonia Mateusz Morawiecki ha annunciato un aumento della spesa militare che raggiungerà già nel 2023 il 4% del PIL. «La guerra in Ucraina ci fa armare ancora più velocemente» ha dichiarato Morawiecki per motivare le scelte del governo. Secondo un rapporto della NATO, lo scorso anno la Polonia ha speso almeno il 2,4% del suo PIL in difesa, una percentuale che la colloca al terzo posto all’interno dell’Alleanza, dietro Grecia (3,76% del PIL) e Stati Uniti (3,47%). Una classifica che include parecchi paradossi, a partire dal fatto che il motivo di maggior preoccupazione per la Grecia è rappresentato dalla Turchia, che è un Paese che appartiene anche esso all’Alleanza atlantica. Invece è ben chiaro che la Polonia viva come minaccia principale la Russia; la guerra in corso ha incrementato questi timori, ma ha avuto anche l’effetto di ridimensionare i contrasti con l’Unione Europea e di creare un clima meno conflittuale all’interno.
La legge «per la difesa della patria» è stata approvata dal Senato polacco il 17 marzo 2022, poche settimane dopo l’inizio delle ostilità, all’unanimità, evento unico nella recente storia polacca e chiaro segnale della reazione unitaria e sentita all’esplodere del conflitto. La legge prevede l’aumento delle spese militari e il passaggio degli effettivi delle forze armate dagli attuali 140.000 a 300.000 entro un quinquennio. In effetti la Polonia ha recentemente firmato diversi importanti contratti per la fornitura di attrezzature militari, in particolare con gli Stati Uniti e con la Corea del Sud. La Polonia riceverà dagli Stati Uniti 32 caccia F-35, 366 carri armati Abrams e i sistemi antimissile Patriot; dalla Corea del Sud arriveranno invece 1.000 carri armati Hyundai Rotem K2, circa 700 obici K9-A1 di Hanwha Defense, 50 aerei da combattimento FA-50 e 288 sistemi di lanciarazzi multipli K239. Varsavia ha inoltre firmato un contratto con la Turchia per la fornitura di droni Bayraktar. Ma il ruolo che la Polonia sta assumendo all’interno della NATO è soprattutto politico, come ha evidenziato la vicenda della fornitura di carri armati all’Ucraina. Una decisione sofferta che ha messo in luce una frattura fra i Paesi prudenti, che avevano nella Germania il loro riferimento e i Paesi che spingevano per un più risoluto appoggio a Kiev.
Gli Stati del cosiddetto patto di Tallinn (Regno Unito, Paesi Bassi, Danimarca, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) che si impegnavano a perseguire la consegna all’Ucraina di moderni carri armati, artiglieria pesante, difesa aerea, munizioni e veicoli non appartenevano a un’unica area geografica, ma sono l’evidente dimostrazione del ruolo che i Paesi dell’Est Europa, e in particolare la Polonia, stanno svolgendo all’interno dell’Alleanza atlantica. Questo asse alla fine ha piegato, sia pur parzialmente, le resistenze dei ‘prudenti’; nei giorni immediatamente successivi, Varsavia ha mandato un segnale favorevole anche all’invio dei caccia F-16, incrementando le aspettative di Kiev.
Sono molti i fattori per cui il baricentro della NATO potrebbe trovare nel prossimo futuro, per varie ragioni di ordine strategico, nella Polonia un suo asse fondamentale e in generale spostarsi verso l’Europa orientale. L’elezione alla presidenza della Repubblica Ceca di Petr Pavel, generale in congedo che aveva presieduto il comitato militare della NATO dal 2015 al 2018, rappresenta anche simbolicamente un segnale in questa direzione. Nella campagna elettorale Pavel ha evidenziato un netto profilo atlantista e di deciso appoggio all’Ucraina, molto diverso da quello del suo predecessore Miloš Zeman e da quello del suo avversario al secondo turno, Andrej Babiš. Un altro tassello di cambiamento rispetto alla centralità dell’asse europeo occidentale è il percorso di integrazione della Finlandia e della Svezia, che dovrebbe proseguire nonostante alcune difficoltà legate alla posizione della Turchia.
Il segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg durante la sua missione in Giappone ha espresso la previsione di una sfida di lungo periodo con la Cina e la Russia, che può portare l’interesse della NATO verso il Mar Baltico, ma anche verso il Pacifico: quanto «sta accadendo in Ucraina potrebbe un domani succedere in Oriente», a causa dell’aggressività cinese. Ribadendo che «nessun partner della NATO è più vicino o più capace del Giappone», Stoltenberg sembra disegnare un futuro dell’Alleanza sempre più distante dall’Atlantico. Uno scenario in cui i Paesi dell’Europa occidentale perdono peso e nuovi protagonisti, tra cui oggi sicuramente la Polonia, si affacciano dentro il blocco guidato dagli Stati Uniti, che forse solo per tradizione di valori, ma con poca coerenza geografica, potremo continuare a chiamare Occidente.
TUTTI GLI ARTICOLI DI ATLANTE SULLA GUERRA IN UCRAINA