Sono passati otto mesi dall’invasione russa dell’Ucraina e la guerra si sta avviando verso una nuova fase di escalation che desta una forte preoccupazione nell’opinione pubblica mondiale. Dopo l’ultimo discorso del presidente russo, Vladimir Putin, l’opzione di una minaccia nucleare, sino a qualche mese fa considerata impensabile, non può essere semplicemente archiviata come l’ennesimo bluff del Cremlino. La controffensiva ucraina delle ultime settimane ha indebolito politicamente e militarmente il presidente russo a tal punto da anticipare la decisione di annettere alcune regioni dell’Ucraina meridionale alla Federazione Russa attraverso consultazioni referendarie che violano il diritto internazionale. Con questa mossa il presidente Putin è nelle condizioni di applicare i principi salienti della dottrina militare che prevede, in caso di “minaccia esistenziale”, la possibilità di ricorrere all’uso di un’arma non convenzionale per difendere la sicurezza del territorio federale.

Dopo l’attacco al ponte sullo Stretto di Kerč´, ‒ un’infrastruttura strategica e simbolica che ha “riunificato” la Crimea con la “madrepatria” Russia nel 2018 ‒, il presidente Putin ha affermato che si è trattato «di un attacco terroristico ucraino, volto a distruggere le infrastrutture civili critiche della Federazione Russa». Per placare le critiche degli ultranazionalisti e dei “falchi” del Cremlino, che da settimane si lamentano pubblicamente del pessimo andamento del conflitto militare, ed evitare crepe profonde nella “verticale del potere” del sistema politico, il presidente russo deve necessariamente attuare decisioni «dure, immediate e proporzionali agli attacchi ucraini».

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Tuttavia, è giusto escludere, al momento, l’eventualità di un ricorso ad un’arma tattica nucleare. In primo luogo, Putin è consapevole che una decisione di questo tipo potrebbe ulteriormente incrinare quel patto sociale che è stato costruito e consolidato negli anni con il popolo russo. Dall’annuncio della “mobilitazione parziale” l’istituto di ricerca indipendente, Levada Center, ha rilevato, infatti, una diminuzione di sette punti percentuali del consenso nei confronti del presidente Putin, attestandosi al 77%. Una fiducia ancora ampia che potrebbe, tuttavia, vacillare anche in quel settore della popolazione ormai direttamente coinvolto nel reclutamento dei riservisti.

In secondo luogo, l’arsenale militare russo è ancora in grado di ricorrere ad armi convenzionali capaci di distruggere obiettivi strategici come infrastrutture, centrali termoelettriche e nodi logistici ucraini e, al contempo, destabilizzare psicologicamente la popolazione ucraina sino alla resa. I recenti attacchi missilistici russi nella parte settentrionale dell’Ucraina consentono di fare alcune ipotesi che confermano quanto l’opzione nucleare sia, in realtà, l’ultima ratio regum per evitare una sconfitta politica e militare russa. Da un lato, il Cremlino intende distogliere l’attenzione delle forze militari ucraine dalla controffensiva nel Sud-Est del Paese per limitare i danni di una disfatta sul campo nei territori occupati e, dall’altro, questi attacchi indicano che sinora il presidente Putin ha deliberatamente evitato di colpire obiettivi strategici in Ucraina, pur avendo a disposizione missili Kalibr, S-300 e Tornado.

Le varie sostituzioni ai vertici militari, la “mobilitazione parziale” e i raid di questi giorni dimostrano che il presidente Putin ha ceduto alle pressanti richieste delle fazioni più radicali. Si tratta, per la prima volta da quando Putin è al potere, di un forte segnale di debolezza politica che deve affrontare velocemente per soffocare i pettegolezzi e i tentativi di una potenziale sostituzione alla presidenza russa. Anche per questo motivo, Putin ha richiesto e ottenuto dal presidente Aleksandr Lukašenko l’intervento diretto dell’esercito bielorusso nel conflitto «per prevenire un imminente attacco ucraino contro Minsk» con il rischio di un’estensione del conflitto a livello regionale.

Nelle prossime settimane la stagione del fango (rasputica) potrebbe rallentare le offensive armate, come i precedenti storici delle invasioni mongola, napoleonica e tedesca testimoniano, e determinare una situazione di stallo del conflitto. Tuttavia, l’unica concreta opportunità di bloccare l’utilizzo di missili tattici nucleari in futuro risiederà nella disponibilità del presidente americano, Joe Biden, di incontrare il suo omologo russo al G20 di Indonesia. Si tratterebbe di un gesto distensivo ad elevato significato politico e simbolico per attivare un negoziato che potrebbe indurre l’Orso ferito ad uscire dalla gabbia. Se, inoltre, in quella sede ci fosse anche un confronto, con o senza intermediari, con il presidente ucraino, Zelenskij, l’opzione nucleare si allontanerebbe ancora di più. Non solo dal dibattito pubblico, ma, molto più importante, dalla mente di uno zar che non ha assolutamente intenzione di bleffare pur di salvarsi e scongiurare il crollo della Russia postcomunista.

Immagine: Vladimir Putin (16 giugno 2022). Crediti: Alexey Smyshlyaev / Shutterstock.com

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