Lo scorso 5 luglio ci sono state una serie di esplosioni in un deposito di armi situato 20 chilometri a nord della città di Latakia, nel nord ovest della Siria, molto vicino alla Turchia. Secondo fonti di intelligence statunitensi confermate dalla CNN,

le esplosioni sarebbero state causate da un attacco aereo da parte dell'"Israeli Air Force" (IAF), l'aviazione israeliana. Esistono versioni discordanti sulle origini dell'attacco. Qassem Saadeddine, portavoce dell'Esercito Libero Siriano, ha raccontato a Reuters che le esplosioni provenivano "da un raid aereo o da un missile partito da navi nel Mediterraneo".  Il sito web di Al Manar, emittente televisiva di proprietà degli Hezbollah libanesi, citato dal quotidiano ebraico Yedioth Ahronoth, ha scritto che le esplosioni sarebbero state causate dai combattimenti tra forze ribelli in corso in Siria. Secondo l'agenzia France Presse anche per il Syrian Observatory for Human Rigths, un osservatorio vicino all'opposizione a Bashar Assad, l'esplosione avrebbe cause non ancora chiare.

L'obiettivo dell'attacco, secondo informazioni raccolte dai satelliti della "Defense Intelligence Agency" (DIA) citate dal reporter americano Eli Lake, era un carico di Yakhnot, missili antinave di fabbricazione russa. I missili, secondo il New York Times, sarebbero arrivati in Siria il 16 maggio scorso e rispetto ai tradizionali missili Scud o altri missili di superficie di cui il regime di Assad dispone, sarebbero in grado di impedire l'imposizione di una no-fly zone sulla Siria grazie al loro notevole raggio d'azione. I missili Yakhont sono a tutti gli effetti un "game changer" nella partita a scacchi per imporre una no-fly zone contro il regime di Bashar Assad. Secondo Nick Brown, esperto militare della rivista statunitense IHS Jane’s International Defense Review, i missili "consentirebbero al regime di dissuadere forze armate straniere dall'intervenire a sostegno dell'opposizione via mare e dall'intraprendere un ruolo più attivo nell'imposizione di una no-fly zone o di un embargo navale". I missili arrivati in Siria inoltre, sempre secondo il New York Times, sarebbero "dotati di un sistema di radar avanzato in grado di incrementarne l'efficacia" rispetto alle tradizionali versioni del missile Yakhnot.

Moshe Ya'alon, ministro della Difesa israeliano, il 7 luglio ha negato il coinvolgimento israeliano nell'attacco al deposito di armi di Latakia. "Non interveniamo da tempo nel sanguinoso conflitto siriano. Abbiamo chiarito quali sono le nostre linee rosse e quelle rimangono. C'è stato un attacco lì e un'esplosione là, da qualche parte in Medio Oriente, la maggior parte delle volte veniamo accusati noi". Anche il primo ministro Benjamin Netanyahu, nel corso della trasmissione Face the Nation mandata in onda da CBS il 14 luglio ha negato il coinvolgimento delle forze aeree israeliane: "Ogni volta che succede qualcosa siamo accusati, non sono nelle condizioni di dire cosa abbiamo fatto e cosa no, ma vi dirò qual è la nostra politica: la mia politica è sempre stata quella di prevenire il trasferimento di armi ad Hezbollah od altri gruppi terroristici. Hezbollah in Libano, ma anche altri e questa nostra politica continuerà".

Secondo Eli Lake e Josh Rogin, due analisti di intelligence americani, le informazioni raccolte dai satelliti della DIA sui depositi di armi di Latakia e il carico di missili distrutto proverebbero il coinvolgimento israeliano. Il Dipartimento di Stato americano era al corrente del possibile trasferimento di missili Yakhnot in Siria dal dicembre del 2011. I missili erano sotto osservazione da parte della Marina statunitense per via delle notevoli capacità di jamming elettronico di cui gli ordigni sono dotati. La capacità cioè di emettere emissioni di disturbo su radiofrequenze durante il lancio per evitare che i missili vengano intercettati dai sistema di difesa nemici.  Secondo l'intelligence americana l'attacco israeliano a Latakia non avrebbe prodotto alcuna vittima. A marzo, nel corso dell'ultima visita di Obama in Israele, Netanyahu aveva confermato, sia in pubblico sia nei colloqui privati, la ferma volontà israeliana nell'impedire qualsiasi trasferimento di armi in Siria. L'attenzione del governo israeliano, dall'inizio della crisi, si concentra sulle alture del Golan, un'area situata al confine nord con la Siria dove vivono circa 39.000 israeliani. Il regime di Assad, dallo scorso maggio, minaccia rappresaglie in caso di intervento israeliano in Siria. Minacce che ancora non si sono mai concretizzate, nonostante l'attacco del 5 luglio sia il terzo attacco israeliano in Siria dall'inizio della guerra civile siriana.

I precedenti attacchi israeliani in Siria. A fine gennaio, un convoglio in transito nei pressi dello "Scientific Studies and Research Center" (SSRC) di Jamraya viene colpito da un missile israeliano. Nel corso del raid aereo due caccia in volo a bassa quota avrebbero colpito anche lo stesso complesso di Jamraya che il Dipartimento al Tesoro americano ritiene essere un sito di stoccaggio di armi chimiche in mano al regime di Assad. Con questa manovra l'aviazione israeliana avrebbe impedito il trasferimento di batterie di missili di fabbricazione russa SA-17 verso il Libano ed Hezbollah, oltre a distruggere parte dell'arsenale di armi chimiche di Assad. Di fatto, Israele imponeva con lo strike una no-fly zone sul nord della Siria, ossia tutta la zona che dal deposito di Jamraya arrivava sino al Libano: un chiaro messaggio per Hezbollah ed altri gruppi terroristici interessati ai traffici di armamenti in Siria. Successivamente, immagini satellitari hanno rivelato però come l'SSRC non avesse subìto alcun tipo di danno dal raid israeliano. Ad inizio maggio, due strikes aerei in rapida successione da parte dell'aviazione israeliana hanno distrutto dapprima, il 3 maggio, un carico di missili Fateh-110 di provenienza iraniana, in seguito, il 5 maggio, è stato colpito l'SSRC che era sopravvissuto agli attacchi di gennaio. I Fateh, che si trovavano all'aeroporto internazionale di Damasco, sono missili di superficie che l'Iran produce autonomamente.

Le forze aeree israeliane non avrebbero mai violato, nel corso degli attacchi, lo spazio aereo siriano. La possibilità che Israele si sia servito di un corridoio aereo messo a disposizione dalla Turchia per l'attacco dello scorso 5 luglio a Latakia è stata respinta dal governo di Recep Tayyip Erdoğan.

Pubblicato in collaborazione con Meridiani Relazioni Internazionali