Nel giro di due giorni due endorsement di lusso per Joe Biden. Il grande fatto politico è l’inedito dialogo fra Joe Biden e il suo ex rivale alle primarie Bernie Sanders. Il giorno dopo arriva quello di Obama: 12 minuti di video nei quali l’ex presidente spiega le ragioni del suo sostegno a Biden? Scontato? Sì, ma non sono scontate le forme, la sua mediatizzazione, le parole che usa. E il commento vale per entrambi gli endorsement, ai quali si dovrebbe aggiungere, la settimana prossima, un discorso di Elizabeth Warren.

Prima il fatto mediatico, quello più “spicciolo”, poi il fatto politico. Biden dalla sua ha i sondaggi ‒ è in vantaggio sia nel voto nazionale che in quello che conta davvero, ovvero negli Stati in bilico decisivi ‒ buoni ma non eccellenti, mentre il giudizio sull’operato di Trump durante la crisi del Coronavirus continua a farne scendere il consenso (c’era stata un’impennata pro Casa Bianca, al principio). Però i sondaggi non fanno davvero primavera: la voce dell’ex vicepresidente stenta a farsi sentire; l’emergenza cede la scena a Trump e a un altro democratico in prima linea, il governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo. Il dialogo con Sanders e il video di Obama sono un modo per occupare la scena per un candidato che ‒ lo ricordiamo sempre ‒ è partito con una infrastruttura mediatica digitale molto male organizzata, in corso di ristrutturazione per rispondere a due sfide: per adeguarsi al livello dei suoi contendenti alle primarie, per adattarsi al nuovo contesto di una campagna elettorale completamente on-line. Se Sanders fosse stato in campo al posto di Biden, ci si può scommettere, dopo ogni conferenza stampa di Trump sarebbe partita una vera controffensiva comunicativa (i limiti della campagna erano altri, per il senatore del Vermont). Per questo Warren parlerà più in là: si prova ad occupare, il più possibile, lo spazio mediatico.

Ma cosa si sono detti Biden e Sanders? Sanders si è presentato come il capo di un movimento che ha precise rivendicazioni da fare. “Not me. Us”: ancora il tema della riforma del sistema sanitario e del debito studentesco; non solo “tutti contro Trump”. Poi le issue: gli elettori di Biden vanno convinti e cercati sui temi; Sanders è stato invitato a far parte della “squadra” come garante di questa svolta a sinistra di Biden. Biden appare, molto più di Hillary Clinton, un leader di partito, un mediatore: una caratteristica che gli viene riconosciuta da sempre; rispetto al 2016, vale anche l’elemento personale, ovvero i rapporti umani infinitamente migliori che intercorrono fra Biden e Sanders. E poi tutta una serie di aspetti di politique politicienne che stanno svolgendo un ruolo: l’apprezzamento, da parte dello staff di Sanders, per la mancata pressione pubblica e privata di Biden per il ritiro di Sanders (non gli è stato chiesto di inginocchiarsi di fronte al vincitore); la riconosciuta capacità di mediazione di Biden: decenni passati al Senato facendosi la fama di uno che rispetta i patti e sa concedere, politicamente, ai partner con cui lavora.

Di fondo, la necessità vitale di convincere i riottosissimi elettori di Sanders. È stato calcolato che nel 2016 il 10% di loro preferì Trump a Clinton. Cifre modeste, ma decisive nei tre Stati che servono per vincere le elezioni, nei quali Trump ha prevalso per una manciata di voti: Michigan, Wisconsin e Pennsylvania. Si viaggia sul filo del rasoio ‒ ci si scorda troppo spesso che le elezioni americane sono la somma di più competizioni che si giocano contemporaneamente, partite a scacchi vinte all’ultima mossa ‒, ma diviene più comprensibile così la strategia comunicativa tenuta da Trump durante le primarie democratiche: difendere Sanders dalle manovre dell’establishment del Partito democratico. Non abbiamo sondaggi per misurare tendenze, ma abbiamo osservato la reazione on-line di molti sostenitori di Sanders, che hanno avviato bombardamenti digitali sul quartier generale di Biden; tanto che Bill McKibben, un noto ambientalista americano e sostenitore di Sanders, si è detto allibito per i durissimi commenti anti-Biden di alcuni sostenitori di Sanders. Senza contare che anche Alexandria Ocasio-Cortez è sembrata molto fredda, soprattutto sulla proposta di Biden di abbassare il Medicare ai 60 anni (“troppo poco”): è un gioco delle parti con Bernie Sanders, un calcolo per la tenuta della sua base elettorale o rigidità ideologica? Sanders è tornato subito sul suo endorsement, richiamando all’unità, ma l’impressione è che questo sia l’inizio di un viaggio, non un punto di arrivo.

E Obama? È uno dei grandi vincitori di questo passaggio politico. Ha lavorato per convincere Sanders a lasciare la corsa delle primarie, non ha mai espresso il suo endorsement per Biden durante le primarie ‒ da ex presidente, quindi, ha mantenuto un certo galateo istituzionale: un fatto apprezzato da Sanders e dal suo staff ‒ e ha cominciato a entrare in gara come unificatore. Avrà un ruolo molto più grande che nel 2016, e parlerà molto più di “temi”: ieri, per esempio, ha riconosciuto a Sanders e ai suoi che oggi serve più radicalità, anche rispetto alle stesse politiche che lui ha promosso.

Immagine: Joe Biden (3 maggio 2019). Crediti: Michael F. Hiatt / Shutterstock.com

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