4 giugno 2021

Israele, la fine dell’era Netanyahu

L’impasse politica in Israele è finalmente giunta al termine. A meno di un’ora dallo scadere della mezzanotte di mercoledì, Yair Lapid ha annunciato al presidente Reuven Rivlin di aver trovato un accordo con i leader dei partiti dell’opposizione per la formazione del prossimo Governo. Adesso il capo di Yesh Atid dovrà conferire in Parlamento ed ottenere il voto di fiducia, previsto tra massimo dodici giorni.

 

Lapid, il cui partito aveva vinto 17 seggi alle ultime elezioni, era stato incaricato di trovare una maggioranza dopo che il premier uscente Benjamin Netanyahu non era riuscito a raccogliere intorno a sé i 61 voti necessari per la formazione del Governo. L’accordo raggiunto dall’opposizione ha quindi messo fine all’era Netanyahu, in carica da dodici anni consecutivi.

 

La tenuta del prossimo esecutivo però è già stata messa in discussione. I partiti che ne faranno parte sono molto diversi tra di loro e hanno visioni opposte su temi particolarmente sensibili come la questione palestinese e la politica estera. Nello specifico, il prossimo esecutivo sarà formato da Yamina, New Hope, Israel Beitenu, Yesh Atid, Blu e Bianco, Partito laburista, Meretz e Ra’am. A detenere il maggior numero di seggi (17) è il partito centrista Yesh Atid del premier incaricato Yair Lapid, ex alleato dell’attuale ministro della Difesa Benny Gantz e maggiore sfidante di Netanyahu nelle ultime tornate elettorali. Seguono per numero di seggi Blu e Bianco di Gantz (8), Yamina di Naftali Bennett (7), i Labor (7), Israel Beitenu di Avigdor Lieberman (7), New Hope di Gideon Sa’ar (6), la sinistra di Meretz (6) e il partito arabo Ra’am (4).

 

Il primo a guidare il nuovo esecutivo sarà il leader di Yamina, partito di estrema destra particolarmente attivo nella promozione di nuovi insediamenti in Cisgiordania e contrario alla soluzione dei due Stati. A metà mandato, Bennett lascerà il posto di primo ministro a Lapid sulla base di un accordo di rotazione concordato da tutte le forze d’opposizione. A quel punto Sa’ar diventerà ministro degli Esteri, Ayelet Shaked (Yamina) guiderà la Giustizia, mentre Bennett andrà al dicastero degli Interni. Alcuni dei ministeri più importanti finiranno quindi nelle mani della destra.

 

A complicare le trattative è stato fino all’ultimo il dossier della giustizia. Sia Yamina che Labour chiedevano di far parte della Commissione per la nomina dei giudici, ma alla fine Lapid è riuscito a trovare un compromesso. Il posto sarà assegnato prima a Ayelet Shaked di Yamina e a metà mandato passerà a Merav Michaeli, leader dei Laburisti.

 

Ma ad aver avanzato richieste dell’ultimo minuto è stato anche Mansour Abbas. Il capo del partito arabo Ra’am ha chiesto lo stop alle demolizioni nel Negev, il riconoscimento di tre villaggi beduini nella stessa area, l’implementazione di nuovi programmi a sostegno della componente arabo-israeliana e la sospensione fino al 2024 della legge che punisce chi costruisce senza permesso e che interessa principalmente i palestinesi, ai quali viene spesso negato questo tipo di autorizzazione. Netanyahu ha cercato fino all’ultimo di convincere Abbas ad abbandonare Lapid facendo leva proprio su quest’ultimo punto, ma senza successo. Ra’am è diventato così il primo partito arabo della storia a fare ufficialmente parte di una coalizione di Governo in Israele.

 

La differenza di vedute tra i partiti tuttavia resta. Per evitare che ciò si trasformi fin da subito in un problema, i partiti hanno deciso di affrontare prima di tutto questioni legate agli affari interni come la ripresa economica e l’uscita dalla pandemia. Lo stesso Bennett si è impegnato a non toccare il tema degli insediamenti nei primi mesi di governo, ma il problema è destinato a presentarsi, mettendo così in crisi la tenuta dell’esecutivo.

 

Nelle ore che hanno preceduto l’annuncio di Lapid, Netanyahu ha cercato in ogni modo di fare pressioni sui parlamentari di destra e sugli arabi per far naufragare l’accordo. Per il leader del Likud la formazione del nuovo esecutivo è una cattiva notizia non solo perché mette fine al suo predominio, ma anche perché lo rende perseguibile dalla giustizia. Netanyahu potrebbe perdere l’immunità che la carica di premier gli garantiva proprio nel momento in cui a Gerusalemme sono in corso tre processi a suo carico per frode, concussione e abuso d’ufficio. Ma a preoccupare il leader del Likud è anche la possibilità che il nuovo esecutivo imponga per legge un limite ai mandati che il singolo candidato può ricoprire, precludendogli così la possibilità di governare ancora una volta il Paese.

 

 

Immagine: Manifesti e volantini in strada dopo le elezioni israeliane della Knesset del 2021, Holon, Israele (24 marzo 2021). Crediti: Roman Yanushevsky / Shutterstock.com

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