L’Iran, dopo aver sostenuto con grandi sacrifici economici il regime di Bashar Assad in Siria, si ritrova sostanzialmente escluso con le sue aziende dalla ricostruzione, a differenza di Egitto e degli Emirati Arabi Uniti, che avevano invece dialogato con i ribelli. Una situazione paradossale che è stata sottolineata da Ali-Asghar Khaji, alto funzionario del ministero degli Esteri, in un incontro con il presidente Assad, il 10 novembre, che ha avuto luogo mentre una delegazione iraniana si trovava a Damasco per la Conferenza dei rifugiati (11 e 12 novembre). Nel corso della Conferenza, boicottata dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea e apertamente sostenuta da Russia, Iran e Cina, Ali-Asghar Khaji ha peraltro proposto la costituzione di un fondo internazionale per la ricostruzione della Siria. Gli ostacoli a una forte partecipazione iraniana non sono pochi. Da un lato la concorrenza di russi e cinesi, anch’essi alleati di Assad e ben intenzionati a prendere la fetta più grossa: le loro imprese sono facilitate dalle sanzioni che colpiscono Teheran, che rendono praticamente impossibile interagire con imprese iraniane, peraltro in difficoltà in questo contesto anche sul piano dell’aggiornamento tecnologico. Se anche ci sarà un ammorbidimento delle sanzioni con Joe Biden, probabilmente non sarà radicale e gli interventi iraniani all’estero saranno comunque penalizzati.

In questo contesto, si inseriscono aziende di Paesi a maggioranza sunnita, che avevano simpatizzato per i ribelli, ma i cui eventuali investimenti non saranno troppo condizionati dal passato. La questione ha un’importanza enorme in Iran, dove la popolazione è in gravi difficoltà economiche, dovute alla doppia morsa delle sanzioni e della pandemia. L’attivismo esterno dell’Iran, in Siria, in Libano, nello Yemen, in Iraq, viene vissuto come una causa di isolamento internazionale e anche di spese a fondo perduto, per non parlare di costi in termini di vite umane.

Nella notte fra il 17 e il 18 novembre l’aviazione israeliana ha colpito in Siria postazioni dell’esercito regolare dove erano presenti anche forze iraniane; negli attacchi, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, sarebbero morti tre soldati siriani e sette stranieri, che molto probabilmente erano iraniani. Israele ha del resto motivato l’iniziativa militare con il ritrovamento di materiale bellico nella zona di confine del Golan, attribuendone la presenza all’attivismo iraniano in Siria. Altri attacchi si sono svolti nei mesi passati e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha minacciato di colpire direttamente in Iran, per difendersi dalla minaccia rappresentata dalla presenza presso i suoi confini, in Libano e in Siria, di milizie armate vicine a Teheran. L’Iran è stato per Assad un alleato prezioso al fianco della Russia nella guerra civile contro i ribelli, ma rischia di essere un ospite scomodo nella pace e nella ricostruzione. Ma mentre si parla di ricostruzione, Assad è ancora lontano dal controllo assoluto del territorio: in alcune aree della zona nord-orientale si stanno riorganizzando forze dello Stato islamico, e conflitti sono in corso fra le componenti sunnite e le Forze democratiche siriane, in cui prevalgono i Curdi, mentre milizie sostenute dalla Turchia sono attive nelle aree di confine. Molti osservatori prevedono che non si stia affermando una effettiva restaurazione del regime siriano ma che piuttosto, sotto quella apparenza, prevalga una conformazione molto frammentata, con diversi centri di potere locali. In questo contesto, diventerà permanente un’ingombrante presenza di potenze straniere, peraltro più interessate, Russia compresa, a perseguire i propri interessi geopolitici e gli affari legati alla ricostruzione che a consolidare uno Stato unitario e centralizzato. L’Iran avrà ancora un suo ruolo, che però appare, soprattutto agli occhi degli oppositori del regime, ben poco vantaggioso.

Immagine: Iran (13 novembre 2019). Crediti: NicolasGaron [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)], attraverso Wikimedia Commons

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