Il vicepremier Luigi Di Maio, ministro dello Sviluppo economico e ministro del Lavoro e delle politiche sociali, nonché vicepresidente del Consiglio dei ministri, ha annunciato venerdì 13 luglio che l’Italia non ratificherà l’accordo di libero scambio tra l’Unione Europea e il Canada, il CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement, ossia Accordo economico e commerciale globale).

Il CETA è già operativo in via sperimentale da alcuni mesi e tende a favorire il commercio tra Unione Europea e Canada attraverso l’abbattimento di dazi e il superamento di misure protezionistiche. Fonti canadesi dimostrano ottimismo rispetto al superamento delle difficoltà ed esaltano i risultati positivi raggiunti in questa fase sperimentale per le economie coinvolte. Resta il fatto che l’opposizione di uno solo dei 28 Paesi potrebbe portare alla revoca dell’intero accordo; in questo caso, infatti con una procedura insolita nell’Unione Europea, i termini dell’intesa devono essere ratificati sia dal Parlamento europeo sia da tutti i Parlamenti dei singoli Stati, altrimenti il CETA decade. Peraltro, perplessità sono emerse anche in altri Paesi, in particolare in Austria, e la ratifica parlamentare è già avvenuta solo in undici casi (Danimarca, Lettonia, Estonia, Lituania, Malta, Spagna, Portogallo, Croazia, Repubblica Ceca, Austria e Finlandia).

I sostenitori del CETA sono convinti che l’accordo porterà ad una crescita del 20% degli scambi tra i partner, aiutando sia lo sviluppo dell’economia europea sia di quella canadese, e sostengono che i dati di questi mesi siano confortanti.

Le perplessità da parte italiana nascono dalla mancata tutela dei prodotti agroalimentari di qualità. Nel quadro del CETA il Canada ha riconosciuto oltre 40 marchi DOP e IGP italiani su un totale di 292; un piccolo passo in avanti secondo alcuni, il via libera alle imitazioni e alle falsificazioni dei prodotti made in Italy per coloro che si oppongono al CETA. Ma le preoccupazioni non nascono soltanto da considerazioni di protezione delle imprese italiane; alcuni osservatori pongono l’accento sull’eccessiva tutela degli investimenti stranieri e delle imprese multinazionali, a danno delle comunità locali, che arriva a prevedere l’istituzione di tribunali “privati” per le controversie commerciali.

La Coldiretti e il mondo delle associazioni sottolineano anche che non ci sono direttive vincolanti rispetto alla protezione dell’ambiente e ai diritti dei lavoratori; il CETA potrebbe fare scuola per altri accordi futuri, aprendo maggiori spazi alla circolazione degli OGM e alle forme di produzione alimentare che non tutelano fino in fondo la salute dei consumatori. Non si tratta solo di un confronto tra globalizzazione e protezionismo; sono in gioco altre considerazioni e la difficile alternativa tra piccoli passi concreti e valutazioni di prospettiva.

Crediti immagine: da Meo Hav [CC0], attraverso Wikimedia Commons

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