La richiesta di adesione all’Unione Europea (UE) è stata presentata in condizioni drammatiche dal presidente ucraino Volodymyr Zelenskij nel pomeriggio di lunedì 28 febbraio, con l’avanzata russa già in corso. Nelle intenzioni di Zelenskij l’adesione dell’Ucraina all’Unione dovrebbe seguire una procedura d’emergenza, proprio a causa della crisi in atto; appare però difficile che questo possa realmente avvenire. Si oppongono motivi formali, di rispetto delle regole e delle procedure, ma anche considerazioni molto concrete. L’art. 42 e in particolare il paragrafo 7 del Trattato sull’Unione Europea stabiliscono che nel caso di un attacco armato a un Paese membro entri in vigore una clausola di difesa reciproca, che non prevede gli stessi automatismi previsti dall’art. 5 del trattato della NATO, ma rappresenterebbe la base per il coinvolgimento dell’Unione in un conflitto e in una situazione come quella che l’Ucraina sta attualmente vivendo.

In questo modo, al di là della sua impraticabilità procedurale, l’adesione è una cartina al tornasole delle divergenze che esistono in questa crisi fra l’attuale dirigenza ucraina e i suoi sostenitori occidentali: Zelenskij chiede un appoggio più diretto, ad esempio l’attuazione della no fly zone a cui la NATO ha detto no, per evitare l’allargamento del conflitto. I Paesi europei si sono spesi con le sanzioni e con l’invio di aiuti anche militari e sono stati inseriti nella lista dei Paesi nemici di Mosca; non vogliono però essere coinvolti direttamente nel conflitto. Dentro questi limiti, l’Unione Europea vuole tuttavia mandare un segnale favorevole all’adesione dell’Ucraina e anche a quella della Moldavia e della Georgia, che nascono nell’ambito di condivise istanze e di comuni preoccupazioni. Del resto, la richiesta di Zelenskij era stata preceduta, e in un certo senso incoraggiata, dalle dichiarazioni di Ursula von der Leyen del 27 febbraio: «L’Ucraina è una di noi e la vogliamo nell’Unione». E il giorno dopo la richiesta ucraina, martedì 1° marzo, ha approvato una risoluzione in cui si impegna ad agire per «concedere all’Ucraina lo status di candidato all’Unione Europea e a lavorare per la sua integrazione». La risoluzione è stata approvata con 637 voti favorevoli, 13 contrari e 36 astenuti. Una presa di posizione importante che però non vincola le istituzioni europee rispetto ai tempi e non si pronuncia quindi sulla procedura d’urgenza.

Lunedì 7 marzo il percorso è partito: il comitato dei rappresentanti permanenti delle delegazioni al Consiglio europeo ha sancito che il processo di adesione di Ucraina, Moldavia e Georgia all’Unione Europea può cominciare. Il prossimo passo è che la Commissione si pronunci su ognuna delle tre richieste. Le procedure sono state avviate, ma ‒ come ha dichiarato Josep Borrell, alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri, appena la questione si è posta ‒ l’entrata immediata dell’Ucraina non è un tema all’ordine del giorno e non può incrociarsi con la crisi in atto perché richiederà comunque diversi anni, e alla drammatica situazione bisogna «fornire una risposta per le prossime ore, non per i prossimi anni». Un punto di vista che è stato espresso anche da Mario Draghi, dopo il suo colloquio con Ursula von der Leyen del 7 marzo: «Noi sosteniamo l’appartenenza dell’Ucraina alla famiglia europea, siamo molto aperti su questo. Il processo però è lungo. […]. L’entrata nell’Unione Europea è sempre preceduta da una ristrutturazione, da profonde riforme strutturali. Però in ogni caso noi lo sosteniamo, non c’è nessuna prevenzione, nessuna obiezione di principio».

All’interno dell’Unione Europea ci sono comunque sulla questione accenti diversi: mentre la Germania e la Francia hanno assunto un atteggiamento prudente, favorevole ma non in tempi rapidi, per un’accelerazione si sono pronunciate invece Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia e Slovenia attraverso un comunicato congiunto. Il percorso più probabile, anche in considerazione della storia dell’Unione Europea, è che il percorso vada avanti senza ostacoli precostituiti ma senza accelerazioni e, soprattutto, senza incrociarsi con l’attuale drammatica crisi in corso, che, anche per le sue conseguenze sul fronte umanitario, richiede invece risposte immediate.

Immagine: Ursula von der Leyen (16 luglio 2019). Crediti: European Parliament from EU [CC BY 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0), attraverso Wikimedia Commons

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