L'Africa sub-sahariana è la regione più ottimista al mondo in termini di aspettative per il 2014. A rilevarlo è il World Economic Forum – organizzazione no-profit con sede a Ginevra – in un report pubblicato di recente in cui stila una classifica delle principali sfide globali da affrontare nei prossimi 12 mesi.

I 1500 esperti che hanno lavorato alla realizzazione del report hanno incrociato indicatori economici, di governo e dei mezzi di informazione. La sfida più grande per il 2014 sarà quella della povertà che, rappresentata in termini percentuali dagli esperti del World Economic Forum, costituisce circa il 22%. Al 15% c'è la disoccupazione e al 13% la disoccupazione giovanile, mentre al 10% si attesta la diseguaglianza sociale e al restante 8% la stabilità di governo. Nonostante queste spie di allarme restino accese, in Africa per il 2014 si è più ottimisti che in Europa – definita la “regione più pessimista al mondo” – e persino del Nord America.

Lo studio presentato dal World Economic Forum non è l'unico a certificare questo trend: una boccata di ottimismo si respira anche in altri recenti sondaggi che dimostrano come i paesi africani godano in questo momento di una spiccata fiducia nel futuro. Rispetto ad europei ed americani, ad esempio, uno studio del Pew Research Center pubblicato l'8 novembre scorso dimostra come il 50% degli africani intervistati pensa che i propri figli avranno un tenore di vita migliore di quello attuale. Una percentuale che scende al 26% in Europa – 14% in Italia – e al 33% negli Stati Uniti. E un altro sondaggio Gallup pubblicato la scorsa estate – in cui si chiedeva come si vedeva la propria vita nei prossimi 5 anni - ha rilevato come 14 dei 15 stati più ottimisti di cui si compone la classifica siano proprio africani.

Per gli analisti di Gallup le ragioni dell'ottimismo delle popolazioni dei paesi più poveri si risolvono nella semplicistica formula che – si legge testualmente nel report  – “la loro vita non potrebbe andare peggio di così”. Ma c'è di più, e gli ultimi dati disponibili ci dicono che alcuni paesi dell'Africa sub-sahariana hanno effettivamente fatto grandi passi in avanti nel miglioramento degli standard di vita.

Come si legge in un report del Boston Consulting Group, 8 dei 30 paesi nel mondo in cui negli ultimi 5 anni c'è stato un miglioramento del benessere sociale si trovano in Africa sub-sahariana. Il report individua inoltre Etiopia, Ghana e Angola come “pionieri che aprono la strada” per la creazione di piani d'investimento per la popolazione locale. In particolare si cita l'innovativo programma di assistenza sanitaria introdotto in Etiopia, che ha permesso la riduzione del 23% del tasso di mortalità dei bambini al di sotto dei 5 anni d'età.

Tuttavia restano ancora fortissimi problemi di diseguaglianza sociale tra gli stati e un report della Banca Mondiale ha recentemente rilevato come – seppur nessuna regione sia immune dai cambiamenti climatici – “la distribuzione degli effetti pone a rischio le regioni più povere del mondo che non hanno le capacità economiche, istituzionali, scientifiche e tecniche per far fronte a queste emergenze e adattarsi”.

Senza dimenticare che nel 2012 in Africa ci sono 13 conflitti ancora in corso, e tra questi due si sono riaccesi nell'ultimo anno: Mali e Sudan. E anche se i dati su fame nel mondo e mortalità infantile sono in calo un po' ovunque, in Africa i numeri rimangono in proporzione sempre più preoccupanti che nel resto del mondo. Tutte sfide in mano ai giovani: più di un terzo della popolazione dell'Africa sub-sahariana ha tra i 10 e i 24 anni, ed è l'unica regione al mondo in cui questo dato cresce in maniera esponenziale ogni anno.

Si calcola che nel 2025 questa fascia di popolazione raggiungerà quota 436 milioni, e nel 2050 arriverà a 605 milioni. Il continente intero ha quindi un'opportunità senza precedenti per capitalizzare il potenziale della giovane popolazione e rafforzare la crescita economica e lo sviluppo. Donald Kaberuka – presidente della  Banca Africana per lo Sviluppo – ci crede: “I giovani sono la maggioranza della popolazione africana, sanno cosa vogliono e sono connessi” – ha dichiarato al World Economic Forum.

Kaberuka ha anche aggiunto che questa nuova dimensione 2.0 mette pressione sui leader politici “per istituzioni pulite ed affidabili”. E allora il dialogo passa anche per Twitter , perché se in passato “i paesi avevano petrolio e gas in abbondanza, ma con il risultato di elefanti bianchi e debito in eccesso” – ha continuato Kaberuka – “oggi la sfida è trasformare la ricchezza naturale ed ereditata in ricchezza creata, e dobbiamo fare meglio: dobbiamo utilizzare gas e petrolio per sviluppare educazione e capitale sociale”. Hanno le risorse, hanno le buone intenzioni e hanno intenzione di puntare sui giovani. Ecco perché in Africa, nonostante tutto, almeno ci credono.

Pubblicato in collaborazione con Meridiani Relazioni Internazionali