Il 2022 verrà ricordato come l’anno nero dell’energia. Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, quello dell’energia è stato un tema centrale e probabilmente continuerà ad esserlo ancora per molto. Già sul finire del 2021, la presenza di alcuni fattori tecnici aveva messo l’energia in cima alle priorità degli analisti e dei policy maker. Elementi come la minor generazione elettrica nei parchi eolici del Nord Europa, la chiusura programmata di alcune centrali nucleari in Europa e i minori afflussi di gas naturale dalla Russia, associati alla ripartenza post-Covid che richiedeva nuovi stock di energia, rappresentavano un mix potenzialmente esplosivo. La guerra in Ucraina ha complicato ulteriormente la situazione. Dopo anni di relativa stabilità ed economicità delle forniture, l’Europa si è dimostrata fragile ed estremamente dipendente da Mosca per l’approvvigionamento energetico. Fino all’invasione dell’Ucraina, la Russia era il principale fornitore di gas naturale all’Europa, per circa il 40%, con percentuali superiori in Italia e Germania. Tale dipendenza si era andata strutturando nel tempo grazie ad un sistema di gasdotti che interconnetteva la Russia all’Europa attraversando l’Ucraina. Ma con la costruzione di Yamal, Nord Stream 1-2 e Turkish Stream, negli anni, Gazprom ha ridotto drasticamente il peso negoziale di Kiev nella partita del gas verso l’Europa. La conseguente decisione di affrancarsi nel più breve tempo possibile da tale dipendenza ha scatenato una corsa al rialzo dei prezzi, portando gli Stati europei ad agire in modo caotico e disunito.

I Paesi baltici, insieme alla Polonia, hanno deciso di non rinnovare i contratti in scadenza con Gazprom, riuscendo a rendere operative infrastrutture alternative che consentissero loro nell’immediato di approvvigionarsi da altri fornitori. Spagna e Portogallo, poco interconnessi alla rete europea e beneficiando di una ridondanza di infrastrutture, sono riusciti, anche attraverso meccanismi correttivi del mercato, a contenere i costi per famiglie e imprese. La Francia, pur potendo contare su una forte generazione elettrica attraverso il nucleare, ha avuto diversi problemi legati ai cicli di riparazione di diverse centrali, il cui numero è andato crescendo per via di un difetto strutturale presente nei reattori più recenti.

Fino all’invasione, la Germania non aveva nessun terminal di rigassificazione perché basava il suo approvvigionamento su forniture tramite gasdotto. Ma il governo Scholz ha invertito questa tendenza, potendo contare da qui ai prossimi 2 anni su 6 terminali di rigassificazione. La situazione italiana era sensibilmente diversa da quella tedesca, in quanto il nostro paese poteva contare su altre infrastrutture e sui contratti già in essere con altri fornitori. Inoltre, alcuni Paesi, tra cui spiccano la Polonia e la Germania, hanno riattivato e spinto al massimo le centrali a carbone come alternativa a quelle a gas. Secondo le stime del think tank Bruegel, da novembre 2021 a dicembre 2022, gli stati europei hanno allocato circa 705,5 miliardi di euro per far fronte alla crisi energetica.

A fronte di una situazione caotica, le istituzioni europee hanno cercato di richiamare i Paesi ad una maggiore unità e compattezza, senza compromettere il supporto alla causa ucraina. La risposta della Commissione è arrivata attraverso RePowerEU, lo strumento che mira a rendere indipendente l’Europa dalle fonti energetiche russe ben prima del 2030, puntando su diversificazione, risparmio e incremento delle rinnovabili. Ma se per il petrolio è più facile trovare altri fornitori, questo non vale per il gas in quanto è un mercato più regionale, e in Europa è andato sviluppandosi più sui gasdotti che sui rigassificatori.

L’Europa ha così dovuto richiedere al mercato nuovi stock di GNL **(**Gas Naturale Liquefatto), principalmente americano e qatariota, ma anche russo, e contestualmente ampliato i contratti con fornitori alternativi come Algeria, Azerbaigian ed Egitto. Ma data la saturazione della capacità di liquefazione a livello globale e venute meno le forniture russe, a fronte di una domanda elevata, i prezzi hanno iniziato una corsa verso l’alto. Inoltre, terminata la stagione più fredda, i Paesi europei hanno continuato ad acquistare gas per riempire gli stoccaggi così da assicurarsi una situazione più stabile in inverno. Nel mentre, Mosca, beneficiando dei prezzi elevati delle commodities e a fronte di minori quantità vendute, nel 2022 ha incassato 330 mld di dollari dalla vendita di gas, petrolio e carbone.

Seppur presenti ma di modesta entità, la corsa al rialzo dei prezzi non è stata generata da fenomeni speculativi, ma è stata dettata dalla legge della domanda-offerta. Alcuni Stati, tra cui l’Italia, hanno spinto affinché si studiasse un meccanismo europeo che prevedesse un price cap da applicare al TTF, il principale indice del gas in Europa, così da contenere i costi. Rispetto all’embargo sul petrolio, il cui accordo è stato raggiunto a maggio, per il price cap sul gas ci sono voluti diversi mesi per arrivare ad un accordo. Tale dispositivo fissa un tetto a 180 euro al megawattora e scatterà solo in determinate condizioni, ma i prezzi del mercato attualmente si attestano attorno ai 60 euro al megawattora. Contestualmente, il 5 febbraio è entrato in vigore l’embargo sui prodotti petroliferi. In buona sostanza, l’insieme degli strumenti messi campo dall’Unione Europea mira a ridurre i guadagni di Mosca, che sono alla base del bilancio statale per un’economia ancora strettamente collegata agli idrocarburi come quella russa.

Grazie ad un inverno mite e un ridotto consumo, soprattutto industriale, il livello medio degli stoccaggi europei, pieni per circa l’80% della capacità totale, è ancora elevato. Il 2022 è stato peraltro un anno particolarmente rilevante per le tecnologie rinnovabili, che grazie all’installazione di nuovi impianti per 56 gigawatt sono riuscite a produrre il 22% dell’energia consumata in Europa, facendo risparmiare circa 70 miliardi di metri cubi di gas. Inoltre, la crisi energetica ha ridato vigore ai progetti di sviluppo delle risorse presenti nel Mediterraneo orientale. Questo offre ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo nuove opportunità di sviluppo, tra cui l’ambizione a diventare il nuovo hub energetico d’Europa. Per farlo è necessario investire in infrastrutture, nuovi gasdotti e terminal di rigassificazione, a cui dovrà seguire un adeguamento della rete di distribuzione. La sfida è stata lanciata, ma i Paesi del Nord Europa non stanno a guardare.

Il 2023 non sarà certo un anno facile e molto ancora deve esser fatto per mettere in sicurezza il sistema. Come sottolineato dall’IEA (International Energy Agency), le rinnovabili hanno trovato terreno fertile in questo contesto, ma burocrazia e supply chain rischiano di minare questo trend. Lo shock energetico si intreccia alla transizione energetica, ed è per questo che l’Europa deve trovare un equilibro tra sicurezza energetica e sostenibilità ambientale, garantendo un accesso all’energia sicuro, conveniente e per quantitativi abbondati.

Immagine: Tubi in acciaio in una raffineria di petrolio greggio. Crediti: Kodda / Shutterstock.com

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