Nel composito movimento di opposizione interna alla guerra contro l’Ucraina, non hanno fatto mancare la propria voce i movimenti femministi russi. Fin dal principio dell’invasione ad opera di Putin, migliaia di persone hanno manifestato nelle maggiori città, a favore dell’immediata cessazione delle ostilità. Ad aver suscitato interesse nei media occidentali sono state soprattutto la tempestività e la diffusione di tali atti di dissenso; in un Paese a regime semiautoritario come la Russia, in cui la libertà di stampa e di opinione sono severamente limitate già in condizioni ordinarie, quanto è accaduto nelle piazze ha colpito più di un’analista politico oltre allo stesso Cremlino. La repressione del governo, tuttavia, non si è fatta attendere: almeno diecimila persone sono infatti state arrestate dall’inizio dell’invasione.

A fronte di tale impeto reazionario il 28 febbraio le femministe russe hanno lanciato collettivamente un appello on-line contro l’invasione russa dell’Ucraina. Il manifesto è stato tradotto in diverse lingue, italiano compreso. Tale documento rappresenta un importante strumento per la comprensione delle specificità del femminismo russo, di come esso sia strutturato e di come ancora possa resistere ed esistere in un regime come quello instaurato da Putin.

Il femminismo, in Russia, è tra le poche forze sociali di opposizione che possa ancora, in effetti, vantare una certa capacità di organizzazione. Le ragioni risiedono in particolare nella forte fluidità e adattabilità del movimento, strutturatosi nel tempo in una rete di piccoli collettivi che operano per lo più nell’anonimato: a detta delle stesse attiviste quarantacinque diverse organizzazioni femministe operano in tutto il Paese.

Putin sembra aver sottovalutato negli anni le potenzialità di tale movimento, limitandosi a reprimere con la forza solo quei gruppi che sembravano essere in grado di suscitare con le loro azioni un interesse internazionale. Il caso delle Pussy Riot, collettivo punk rock russo, è emblematico in tal senso. Questo non vuol dire che le attiviste femministe abbiano avuto vita facile in Russia. Nel corso degli ultimi anni hanno dovuto far fronte a una serie di misure misogine e patriarcali quali la depenalizzazione della violenza domestica e un crescente clima di chiusura e ostilità verso i diritti delle donne a cui ha contribuito non solo il governo di Putin ma anche un altro importante attore sociale: la Chiesa ortodossa russa.

Alla luce di quanto detto, la presa di posizione unitaria dell’intero movimento femminista risulta ancora più significativa: secondo le attiviste l’operazione militare in corso deve essere considerata come un’invasione deliberata di uno Stato sovrano ai danni di un altro e condannata senza remore.

Anche l’invasione della Crimea e la successiva annessione della penisola vengono esplicitamente condannate nel manifesto; un elemento degno di nota visto che, contrariamente al conflitto attualmente in corso, l’operazione del 2014 si svolse in un clima di ampio sostegno da parte dell’opinione pubblica russa.

Nel manifesto viene rimarcato inoltre il carattere tradizionalista e patriarcale della guerra in Ucraina, condotta non solo per motivi nazionalisti ma anche a supporto dei cosiddetti “valori tradizionali” (misogini e reazionari) che il governo di Putin sta forzatamente implementando in Russia e cercando di propagare in altri Paesi attraverso il sostegno, più o meno diretto, a movimenti conservatori sparsi per il mondo, soprattutto in Europa occidentale.

Tuttavia, quel che risulta davvero più interessante nell’analisi femminista che viene fatta dalle attiviste russe concerne la profonda inconciliabilità tra femminismo e dimensione bellica: il femminismo viene infatti definito come movimento intrinsecamente antimilitarista, andando a concepire la guerra come condizione foriera, per antonomasia, di maggiori discriminazioni di genere e di diritti calpestati ai danni delle persone più deboli.

Tale tipo di interpretazione non è affatto nuova, in sé; anzi, si pone pienamente nel solco della tradizione politica dei femminismi occidentali, antimilitaristi da oltre sessant’anni, in seguito alla precedente (e fallimentare) parabola interventista delle suffragette anglosassoni.

Ciò che davvero stupisce è che, nel fervore di questi ultimi giorni, in cui persino i Paesi europei dopo decenni di riduzione delle spese iniziano a rivalutare il riarmo e nazioni da sempre riluttanti a un’agenda di politica estera interventista come la Germania propongono di inviare armi letali all’Ucraina, l’invito del femminismo russo si diriga in tutt’altra direzione: quella di un appello alle compagne degli altri Paesi in un’ottica di collaborazione e sorellanza. Le attiviste chiedono infatti di essere appoggiate nella loro lotta dall’interno attraverso il sostegno alle proteste e alle manifestazioni pacifiste in Russia e la condivisione informazioni e immagini sulla brutalità della guerra condotta dalla Russia in ottica virale su ogni social media, allo scopo di sconfiggere la censura messa in atto da Putin.

Un approccio antimilitarista che appare progressivamente isolato, in particolare nella narrazione dei media occidentali e dell’opinione pubblica europea sempre più orientata a un’ottica giustificazionista dell’interventismo NATO, ora che la guerra sembra essere tornata a bussare alle porte dell’Europa dopo oltre settant’anni di pace.

Eppure, il manifesto delle attiviste russe potrebbe risultare come la più coraggiosa delle scelte, in un momento in cui posizioni neutrali o apertamente pacifiste vengono lette come “ingenue” o persino “filorusse”. Quando anche il segretario generale dell’ONU Guterres è costretto a perorare una risoluzione diplomatica del conflitto, le parole delle femministe russe possono costituire un monito per tutte le nazioni europee: ricordare che una terza possibilità esiste, al di là di una narrazione polarizzata tra un interventismo atlantista e la passiva accettazione delle ambizioni imperialiste di Putin.

Immagine 0

TUTTI GLI ARTICOLI DI ATLANTE SULLA GUERRA IN UCRAINA
Immagine di copertina: Manifestazione di protesta femminista per i diritti delle donne in occasione dell’8 marzo, San Pietroburgo, Russia (8 marzo 2021). Crediti: Konstantin Lenkov / Shutterstock.com

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

Argomenti

#Pussy Riot#femminismo#Ucraina#Russia