4 gennaio 2023

L’attivismo del Qatar, oltre il Qatargate

Lo scandalo cosiddetto “Qatargate” continua a scuotere la politica europea. Le autorità belghe proseguono le indagini su alcuni esponenti del Parlamento europeo i quali, stando alle accuse, avrebbero intascato denaro da Doha allo scopo di “favorire” l’agenda politica qatariota all’interno delle istituzioni europee, in particolare per quanto riguarda temi considerati critici come, ad esempio, le violazioni dei diritti umani verso i lavoratori migranti che operano in Qatar. Gli esponenti di punta delle istituzioni europee finora accusati sembrano costituire solo un frammento di una rete molto più estesa, ragion per cui la Procura di Bruxelles ha chiesto al Parlamento europeo di revocare l’immunità parlamentare ad altri europarlamentari. Allo stato attuale, il governo qatariota nega ogni coinvolgimento, puntando il dito verso i vicini, e rivali, Emirati Arabi Uniti, accusando i servizi segreti di Abu Dhabi di aver di fatto influenzato il lavoro dei servizi segreti belgi con l’obiettivo di sabotare la reputazione qatariota in ambito europeo. Accuse prontamente rigettate da parte delle autorità emiratine.

 

A ciò si affiancano le preoccupazioni provenienti dagli Stati Uniti, dove sono ancora in corso le indagini da parte dell’FBI su un ex generale dei Marines, John Allen, accusato di aver esercitato azioni di lobbying “illegale” a favore del Qatar all’interno delle istituzioni americane, dando così nuovo slancio al dibattito sulle attività di lobbying all’interno delle istituzioni politiche occidentali. Negli Stati Uniti, così come nelle stesse istituzioni europee a partire dal 2021, il lobbying è sostanzialmente riconosciuto come strumento d’interlocuzione tra la politica e attori di diversa natura, i quali ritengono, a vario titolo, di poter operare in difesa dei propri interessi. Naturalmente, questo tipo di lobbying regolamentato non prevede l’utilizzo di denaro come strumento per sostenere la propria causa e per questa ragione il Qatargate viene identificato più come un caso di corruzione. Il governo qatariota stesso, nel difendersi dalle accuse rivoltegli, afferma di operare rispettando i regolamenti delle istituzioni europee il che, sostanzialmente, significa che riconosce sì di fare lobbying, ma in maniera lecita.

 

Che si tratti di analizzare il lobbying “legale”, ossia quello apertamente riconosciuto dal Qatar, o lo scenario di deliberata corruzione del Qatargate paventato dai servizi segreti belgi, resta quale fattore comune il tentativo da parte di uno Stato di esercitare la propria influenza nei confronti di un’organizzazione statuale (come possono essere gli Stati Uniti) o internazionale (come l’Unione Europea) al fine di raggiungere determinati obiettivi politici. Per comprendere il Qatargate occorre quindi riflettere su quali possono essere gli obiettivi del governo qatariota.

 

Al netto del Qatargate, l’agenda politica internazionale di Doha è sempre stata piuttosto vivace se rapportata alle modeste dimensioni dello Stato. Basti pensare ai rapporti privilegiati con la Francia (fattore che portò diverse polemiche in seno all’opinione pubblica francese), all’intervento militare in Libia fino all’ultimo Mondiale di calcio maschile appena svoltosi appunto nel piccolo Qatar. Attraverso il proprio fondo sovrano, il governo qatariota stesso si incarica di operare investimenti di varia natura in giro per il mondo, esercitando la propria influenza non solo sulla politica, ma anche sull’imprenditoria privata e sul tessuto sociale di un gran numero di Paesi. Agire su tutti questi livelli non è certo ciò che sorprende: sono elementi caratteristici di ogni Stato. A stupire, e a volte inquietare, è l’intensità della proiezione a livello internazionale che Doha esercita se rapportata a un Paese, per quanto prospero economicamente, con poco più di 2 milioni di abitanti e con un solo asset strategico fondamentale, ossia le riserve di idrocarburi a disposizione.

 

Cosa spinge il governo qatariota a spendersi e spendere così tanto sui più disparati tavoli internazionali al punto da cercare le attenzioni da parte di diversi esponenti del Parlamento europeo? Spesso il febbrile lavoro di autosponsorizzazione che il Qatar opera su scala globale viene ricondotto semplicemente al narcisismo della sua dinastia regnante la quale, indiscussa in patria, intende evitare il più possibile critiche al di fuori dei confini attraverso la propria disponibilità economica. Si tratta, tuttavia, di una visione con ogni probabilità superficiale nonché intrisa di un certo paternalismo occidentale nei confronti di strutture politiche considerate ancora “primitive”. Uno Stato che spende una parte tanto importante delle proprie risorse per semplice capriccio da parte dei propri governanti è destinato a non durare, e questo vale anche per un’autocrazia come quella qatariota.

 

Ciò che piuttosto può costituire una ragione alla base del dinamismo da parte del Qatar in ambito globale è un fattore di sicurezza, sia interna che esterna. Proprio in virtù dei suoi effettivi limiti dal punto di vista territoriale, demografico e di risorse, il governo di Doha sente la necessità vitale di trovare sponsor internazionali di varia natura sui quali poter contare in caso di necessità. Durante i due anni di embargo subito dagli Emirati Arabi Uniti, dall’Arabia Saudita e da altri Paesi della regione, il Qatar ha potuto contare, in primis a livello di forniture alimentari, sul supporto fornito dalla Turchia. Ciò è stato possibile proprio grazie ad anni di lavoro operato da Doha nel favorire i propri rapporti con Ankara. Si è trattato di una scommessa senza dubbio rischiosa, in quanto la Turchia non avrebbe avuto alcun contraccolpo degno di nota nel negare supporto al Qatar durante l’embargo, ma che si è rivelata vincente in quanto, senza una propria rete di aiuto dall’esterno, con ogni probabilità il governo qatariota sarebbe entrato in profonda crisi, se non addirittura collassato.

 

Il Qatar, dunque, scommette sul tavolo da gioco globale utilizzando, con una certa mancanza di scrupoli, le proprie risorse, non per vanità ma per garantirsi la sopravvivenza. L’alquanto sospetto, date le circostanze, discorso all’Europarlamento di Eva Kaili sui grandi passi in avanti fatti dal Qatar grazie ai mondiali nel rispetto delle condizioni dei propri lavoratori è stato per Doha una piccola polizza sulla propria sicurezza in quanto segnale della possibile volontà, da parte europea (o almeno di alcuni suoi esponenti politici di rilievo) di sostenere il Paese qualora se ne fosse presentato il bisogno. La necessità di garantirsi una maggiore sicurezza potrebbe aiutare a comprendere meglio l’attivismo con il quale Doha si proietta a livello internazionale.

 

Immagine: Strada addobbata per Coppa del mondo di calcio, Doha, Qatar (16 novembre 2022). Crediti: Tahir Mahmood / Shutterstock.it

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