L’approvvigionamento energetico è un fattore centrale in ogni calcolo strategico e la fase attuale della guerra d’Ucraina lo dimostra, accomunando le azioni dei belligeranti e dei loro alleati proprio intorno a questo fattore. Esso riguarda il teatro bellico sia direttamente sia indirettamente. Sul teatro bellico la scellerata condotta della Federazione Russa è affidata specialmente a un principio di distruzione sistematica delle infrastrutture energetiche dell’Ucraina, volto a piegare la volontà popolare di resistenza all’aggressione. Rendendo problematica anche la mera sopravvivenza dei civili alle condizioni naturali elementari – anzitutto il freddo e il buio – s’intende così sommare paura alla paura. Lo scopo è intensificare l’effetto di una strategia del terrore fondata sul bombardamento missilistico indiscriminato e generalizzato. Stravolgendo una regola di guerra basilare – cioè la distinzione fra combattenti e non combattenti, tra soldati e civili – questa strategia è volta a colpire tutto, chiunque e ovunque in Ucraina, compresi i civili e le infrastrutture necessarie alla loro vita quotidiana. In questo contesto si comprende anche la persistente occupazione militare della centrale nucleare di Zaporižžja, un fulcro energetico vitale per l’Ucraina ancora assoggettato al controllo russo dopo 287 giorni dall’inizio dell’invasione e il tentativo negoziale di liberarla.
Fuori dal teatro bellico gli Stati che sostengono l’Ucraina hanno deciso, con una scelta collettiva inedita verso la Federazione Russa, di danneggiarla ulteriormente, colpendone la principale fonte di finanziamento per la sua guerra d’aggressione, cioè il profitto tratto dal commercio delle risorse prime destinate all’approvvigionamento energetico europeo: petrolio e gas. Per questo motivo politico l’Unione Europea (EU) e i suoi principali alleati – Canada, Regno Unito e Stati Uniti d’America – hanno stabilito un limite al prezzo del petrolio russo. Al tempo stesso, va ricordato, l’Unione Europea ha già imposto un embargo sul petrolio russo e intende fissare anche un limite al prezzo del gas.
Queste misure di rappresaglia contro la Russia coincidono con decisioni la cui portata politica è ineludibile. Anzitutto, dal punto di vista europeo, le decisioni appena maturate implicano la fine della dipendenza energetica dalla Russia e l’aumento della dipendenza politica dagli Stati Uniti perché, senza l’alleanza con gli USA, questo contrasto non sarebbe stato possibile, o non lo sarebbe stato in termini così radicali. Esse poi dimostrano la volontà determinata degli alleati contro il cosiddetto “ricatto energetico” russo, rendendolo obsoleto. Sanciscono perciò, almeno per ora, il fallimento di tale ricatto, pomposamente asserito dal Cremlino e i suoi sodali come «arma decisiva», destinata a piegare la volontà collettiva di resistenza all’aggressione militare. Le decisioni prese pochi giorni fa comprovano infine la possibilità – se non l’efficacia – di contrastare, in nome della difesa collettiva di uno Stato europeo, la seconda potenza esportatrice di petrolio, nonché prima esportatrice mondiale di gas, proprio laddove essa si considera più forte e sicura, cioè su un proprio terreno privilegiato, quello dell’approvvigionamento energetico.
Non si tratta perciò di considerare queste misure sul piano economico, nei termini della loro congruenza con il “mercato” o la logica del profitto. Tali misure non possiedono su questo piano una congruenza. Semmai tutto questo è consonante con la logica della politica che conduce a una precisa postura, una disposizione all’azione. La quale, proprio come accade in guerra, conduce all’inseguimento del nemico nel suo elemento per fronteggiarlo. A ben vedere è la medesima postura politica assunta ormai dall’Ucraina che, tra mille difficoltà e durezze, spinge gli attacchi del suo esercito di droni in profondità proprio sul terreno nemico laddove non erano mai giunti prima, penetrando in territorio russo a centinaia di chilometri dal fronte.
A questo punto, dopo 287 giorni di guerra, le distinzioni che separano il teatro bellico dal suo esterno sembrano diventare sempre più tenui e fragili. La logica di guerra s’impone su quella economica e la sua dimensione tracima i confini formali del teatro bellico, sempre più riconducendo alla sua logica ciò che ne sta all’esterno o pretende di restare tale. Se è così e così continuerà, verranno tempi di decisioni ancor più difficili per chi dovrà prenderle.
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