La crisi più grande della storia del Venezuela non accenna a placarsi. A poco più di tre mesi dall’inizio dell’ondata di proteste contro Nicolás Maduro sono ben novanta le vittime provocate dalla repressione messa in atto dalle milizie al servizio dello stesso presidente: quasi un morto per ogni giorno di protesta. Il malcontento della popolazione è ormai insostenibile e il destino del Paese è sempre più incerto e controverso. La serie di misure populiste adottate dal governo di Maduro non ha fatto altro che aumentare la disuguaglianza all’interno della popolazione e aggravare la crisi politica ed economica in cui versava il Paese sotto la presidenza di Hugo Chávez.
Lo scorso marzo il Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ), controllato direttamente dal governo, ha addirittura esautorato il Parlamento (l’Asemblea Nacional), sancendo la nullità di diverse proposte approvate a maggioranza dall’organo legislativo rappresentativo della popolazione e intentando cause e processi contro alcuni deputati dell’opposizione. Questa manovra è stata percepita dalla popolazione come un “auto-colpo di Stato” tanto da portare alle stelle la tensione latente già da diverso tempo. Nel 2013, infatti, Maduro aveva vinto le prime elezioni presidenziali dopo la morte di Chavez in maniera molto discussa: la legittimità del processo elettorale, che con il 50,7% dei voti ha conferito la vittoria all’erede designato dallo stesso Chavez, è stata a lungo messa in dubbio dall’opposizione. Inoltre, dopo quattro anni di governo, il Paese è oggi ai vertici nelle classifiche mondiali sulla corruzione e sulla violenza, l’inflazione è stabilmente oltre il 20%, il reddito pro capite è sceso di oltre la metà soltanto negli ultimi due anni e la scarsità di beni, servizi e generi alimentari è sempre più preoccupante.
Il tentativo di togliere il potere legislativo al Parlamento attraverso l’intervento del massimo organo del sistema giudiziario nella vita politica del Paese è stato soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Da qui le proteste e le manifestazioni contro Maduro sono cresciute in maniera smisurata in tutto il Paese, tanto da scatenare la repressione violenta da parte delle truppe del presidente in carica. Piuttosto che cercare il dialogo con l’opposizione e di andare incontro alle fasce più deboli della popolazione, Maduro ha indetto per il 30 luglio l’elezione dell’Assemblea costituente, che avrà il compito di cambiare la costituzione. L’Assemblea costituente sarà formata da 540 membri, di cui 364 rappresentano i 24 Stati federali da cui è composto il Venezuela e 176 i gruppi settoriali del Paese che, a giudizio del governo, sono meritevoli di rappresentanza.
Gli oppositori di Maduro gridano tutti al golpe. Nonostante nelle elezioni del 2015 la Mesa de Unidad Democratica, la coalizione dell’opposizione, abbia conquistato i due terzi del Parlamento, Maduro non ne vuole proprio sapere di dare ascolto alla volontà popolare. Non a caso, dunque, l’iniziativa di procedere alle votazioni per la formazione dell’Assemblea costituente è stata assunta in totale autonomia da Maduro, a discapito di quanto previsto dall’art. 347, che conferisce alla popolazione il potere di convocare la suddetta assemblea, e dall’art. 348 della Costituzione attuale, che ritiene necessaria l’approvazione del Parlamento o del 15% dell’elettorato tramite apposito referendum.