Una coalizione di destra ha vinto le elezioni parlamentari che si sono tenute martedì 1° novembre in Israele e sarà proprio Benjamin Netanyahu a dirigere con ogni probabilità il prossimo esecutivo. Inoltre, dopo cinque elezioni in quattro anni, questa volta la maggioranza sarà più ampia (65 seggi su 120, a spoglio quasi ultimato) anche se non omogenea, poiché il partito conservatore Likud, guidato da Netanyahu, è il primo partito ma ha ottenuto poco più di un quarto dei seggi, cioè 32. Per varare il governo, ha quindi bisogno dei voti dei partiti religiosi di destra con cui ha formato la coalizione: il Partito sionista religioso (HaTzionut HaDatit) ha ottenuto 14 seggi, ed è stato la vera sorpresa di questa tornata elettorale, Shas, che ha un grande seguito fra i sefarditi, ne ha conquistati 12 ed Ebraismo della Torah unito (Yahadut HaTora HaMeuhedet) 8. Molti osservatori considerano questi partiti gli effettivi vincitori: il Likud era risultato infatti il primo partito anche nelle elezioni del marzo 2021, quando aveva ottenuto 30 seggi, ma i suoi avversari con una alleanza composita, che si è rapidamente sfaldata, lo avevano relegato all’opposizione. Nel marzo del 2020 ne aveva ottenuti 36 e aveva formato un fragile governo di unità nazionale, che Netanyahu ha guidato per poco più di un anno. L’incremento dei seggi a disposizione della coalizione è dovuto alla crescita di Shas e di Ebraismo della Torah unito ma soprattutto all’esplosione del Partito sionismo religioso, che, guidato da Itamar Ben-Gvir, secondo la maggioranza degli analisti, ha ottenuto uno straordinario successo soprattutto fra gli elettori più giovani. Itamar Ben-Gvir, fino a poco tempo fa era considerato un estremista costretto dalle sue posizioni a rimanere ai margini del gioco politico, con molte incriminazioni e anche otto condanne per incitamento all’odio e altri reati. La sua presenza nella maggioranza e la sua ambizione a diventare ministro rendono meno credibile, soprattutto all’estero, la prossima avventura governativa di Netanyahu. Secondo alcuni opinionisti nel patto fra i partiti religiosi e il leader di Likud c’è uno scambio fra posti di governo e un sostegno a Netanyahu che, con mirati interventi legislativi, gli consenta di uscire dai suoi problemi giudiziari. I partiti di centro, di sinistra e quelli sostenuti dalla nutrita minoranza araba escono in generale fortemente ridimensionati, anche a causa di divisioni, abilmente sfruttate dal Likud. Solo la lista laica e centrista Yesh Atid di Yair Lapid ha ottenuto un buon risultato, 24 seggi, in crescita rispetto ai 17 del 2021; Unità nazionale di Benny Gantz ne consegue 12, il nazionalista laico Avigdor Lieberman, con il suo partito Yisrael Beiteinu, solo 5 invece che i 7 del 2021, le liste arabe in ordine sparso ne hanno ottenuti 10, mentre continua il declino dei laburisti, che fermatisi a 4 seggi, ne perdono 3. Addirittura fuori dal Parlamento la storica formazione di sinistra Meretz, che è rimasta di poco sotto la soglia minima del 3,25% che le avrebbe consentito, secondo la legge elettorale israeliana, di avere 4 seggi.
Secondo alcuni analisti le difficoltà dei partiti che si sono opposti a Netanyahu, risiede proprio nel fatto che la loro fragile unità è stata fondata in negativo, nell’opporsi al leader di Likud perché corrotto e disinvolto nella gestione del potere, ma senza un’effettiva unità programmatica. Gli elettori avrebbero invece apprezzato il messaggio semplice e aggressivo dei leader religiosi, che rilanciano un’identità forte del Paese, basata sull’ebraismo e sul nazionalismo. Il dato più interessante è forse proprio quello della mobilitazione dell’elettorato, con una partecipazione molto alta al voto (71,3% degli aventi diritto), in forte crescita nonostante i continui ricorsi alle urne di questi ultimi anni. Gli elettori israeliani hanno dato un segnale chiaro, che desta perplessità non solo nelle future opposizioni ma anche nella comunità internazionale, ma che porterà il Paese a uscire in qualche modo dall’impasse in cui è rimasto nel recente passato.