Quello tra Repubblica Popolare Cinese (RPC) e America Latina è un rapporto relativamente recente. Per lungo tempo i governanti comunisti hanno, infatti, manifestato una certa riluttanza a entrare nel continente latinoamericano, considerato come una sorta di ‘cortile di casa’ (houyuan) degli Stati Uniti d’America e, eccezion fatta per Cuba – il primo Paese ad aver riconosciuto Pechino nel 1959, ma con cui i rapporti non sono mai stati particolarmente cordiali – la Cina è rimasta assente dalla regione durante tutti gli anni caldi della guerra fredda. Questo stato di cose iniziò a cambiare nel corso degli anni Ottanta, complice l’avvio della nuova politica di ‘riforme e apertura’ di Deng Xiaoping, e le relazioni conobbero una sorta di ‘epoca d’oro’ a partire dagli anni Duemila.
Piazza Tienanmen rappresenta uno spartiacque importante in tal senso. A differenza che in Occidente, e analogamente a quanto accadde in altri contesti (in buona parte dei Paesi asiatici e in Africa), la reazione rispetto ai fatti del 4 giugno fu assai contenuta: nessuna condanna di principio, nessuna critica, nel totale rispetto del principio della ‘non interferenza’, caro a Pechino, nessuna sanzione. E la risposta cinese non si fece attendere. Il primo viaggio di Yang Shangkun (presidente della Repubblica Popolare) dopo i fatti di Tienanmen, nel maggio del 1989, ebbe come destinazione proprio l’America Latina. Si trattava in assoluto della prima visita ufficiale di un presidente cinese in Sud America, ragion per cui venne acclamata dai media, sia cinesi sia latinoamericani, come l’‘inizio di un nuovo capitolo dell’amicizia latinoamericana’ e un’‘importante pietra miliare nella storia delle relazioni amichevoli cinesi-latinoamericane’. Sul piano economico, l’America Latina è diventata un’area di interesse per Pechino soprattutto all’indomani dell’adesione cinese all’Organizzazione mondiale del commercio, ed è diventata una componente fondamentale della strategia cinese di diversificazione dei propri fornitori di materie prime e dei propri mercati. I Paesi latinoamericani sono, infatti, ricchi di risorse naturali e si affermano ben presto come fornitori chiave di prodotti agricoli e minerali per le esigenze manifatturiere e industriali della RPC.
Il rapporto tra RPC e America Latina è contrassegnato, per certi versi, da dinamiche analoghe a quelle che caratterizzano i rapporti tra Cina e Africa – natura asimmetrica, valenza economico-commerciale e politico-diplomatico-strategica – che contribuiscono ad alimentare percezioni e sentimenti contrastanti (la Cina è percepita al contempo sia come un predatore che come portatore di opportunità). Tali sentimenti contrastanti, che per l’appunto ricordano molto da vicino l’esperienza cinese in Africa, non si riferiscono tanto alla presenza della Cina in sé, ininfluente se paragonata ad altri contesti (Paesi del Sud-Est asiatico e Occidente in generale, dove Pechino concentra la stragrande maggioranza dei suoi affari economici), quanto piuttosto al ritmo impressionante di crescita che hanno conosciuto i rapporti commerciali, economici e politici nell’arco di pochi lustri. L’interscambio commerciale è passato da 12 miliardi di dollari nel 2000 a oltre 300 miliardi di dollari nel 2018 e la RPC è diventata il terzo principale investitore nel continente. Il valore dei suoi prestiti, destinati principalmente a progetti energetici e infrastrutturali, ha superato i finanziamenti della Banca mondiale e della Banca interamericana di sviluppo. Così facendo, la Cina è diventata il principale partner economico-commerciale di molti Paesi latinoamericani (Brasile, Cile, Perù, Uruguay) e il secondo in assoluto dell’intero continente, dietro gli Stati Uniti. I sentimenti contrastanti si riferiscono anche alle modalità con cui si sono esplicitate finora le relazioni commerciali – lo schema tradizionale del commercio che lega le due parti è infatti del tipo centro-periferia, che vede l’America Latina rifornire la Cina di materie prime, a basso valore aggiunto, e la RPC esportare nella regione latinoamericana principalmente beni manufatti – che mettono al centro gli interessi specifici di Pechino.
Un cenno a parte meritano i rapporti tra RPC e Paesi centroamericani. Pechino riserva, infatti, a questi ultimi un’attenzione speciale, del tutto sproporzionata rispetto al loro peso politico-diplomatico, ancorché economico, per il fatto di essere tra i pochi Paesi che ancora riconoscono la Repubblica di Cina, ossia Taiwan. Dei quindici Paesi finora rimasti a non riconoscere diplomaticamente Pechino, nove sono Paesi latinoamericani, ossia Belize, Guatemala, Haiti, Honduras, Nicaragua, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadines, oltre al Paraguay. I restanti sei si trovano in Europa (Santa Sede), in Africa (Swaziland/elSwatini) e in Oceania (Isole Marshall, Nauru, Palau, Tuvalu).
L’importanza attribuita dal governo comunista cinese a questa parte del mondo è emersa inequivocabilmente all’indomani della pubblicazione, nel 2008, di un Libro politico specificamente dedicato ad America Latina e Paesi caraibici (Zhongguo dui Lamei he Jialabi zhengce wenjian), all’epoca il terzo del suo genere, dopo quello dedicato all’Unione Europea nel 2003 e quello destinato all’Africa nel 2006. Analogamente ai due Libri precedenti (e ai due successivi dedicati ai Paesi arabi e all’Artico rispettivamente nel 2016 e nel 2018), esso si soffermava sulla convergenza dei punti di vista tra le due parti e sull’interesse condiviso per un mondo più equo e multipolare. Al contempo, Pechino non mancava di dettare le sue condizioni per un approfondimento ulteriore del rapporto – cruciale in primis per i Paesi latinoamericani severamente colpiti dalla crisi economica – con riferimento, soprattutto, al rispetto della politica di ‘una sola Cina’ (‘yige Zhongguo’ yuanze). Come in altri casi, Pechino ha ritenuto opportuno rinnovare formalmente il proprio interesse per l’area, attraverso l’aggiornamento del Libro, uscito in una seconda versione nel 2016. Quest’ultima presenta sia elementi di continuità sia elementi di novità rispetto alla versione originaria.
Vale la pena soffermarsi sui secondi, in particolare sull’importanza attribuita alla piattaforma ufficiale istituita nel 2014 quale quadro istituzionale di cooperazione di alto livello tra le due parti, il cosiddetto Forum Cina-CELAC, (Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi), analogo al FOCAC (Forum per la cooperazione sino-africana) per l’Africa. Un ulteriore elemento di novità è costituito dal riferimento al ‘fattore USA’, dato il legame storico con la regione. Per quanto le relazioni economiche tra Stati Uniti e America Latina siano state colpite dalla crisi finanziaria globale del 2008 – laddove la strategia cinese si è rivelata fondamentale per contribuire a rilanciare l’economia regionale, ragion per cui i Paesi dell’area hanno iniziato a considerare Pechino come un’alternativa rispetto a Washington – l’influenza statunitense nell’area è un dato di fatto e non può essere negata.
Un ultimo punto che merita un cenno riguarda la partecipazione del continente latinoamericano all’ambizioso progetto di rinascita dell’antica Via della Seta (BRI, Belt and Road Initiative), nei confronti del quale numerosi leader hanno manifestato interesse fin dall’indomani del suo lancio da parte di Xi Jinping. La RPC ha formalmente invitato l’America Latina a prendere parte all’Iniziativa in occasione dell’incontro svoltosi, nell’ambito del sopracitato Forum Cina-CELAC, a Santiago del Cile nel gennaio del 2018. Ora, per quanto Pechino si astenga dall’includere formalmente la regione latinoamericana sulle mappe della BRI, in continuo aggiornamento, numerosi Paesi (18 in tutto) possono essere annoverati tra i partecipanti al progetto, avendo formalmente dichiarato la loro adesione attraverso la firma di memorandum di intesa. Panama è stato il primo, subito dopo la rottura dei legami diplomatici con Taipei nel 2017. Si tratta per la maggior parte di Paesi piccoli dell’America Centrale e dei Caraibi (tra questi Antigua e Barbuda, Barbados, El Salvador, la Repubblica Dominicana, Giamaica, Guyana, Trinidad e Tobago), o membri cosiddetti della Nuova Sinistra, ossia Venezuela, Bolivia ed Ecuador.
Immagine: Barrio Chino a L’Avana, Cuba (18 marzo 2018). Crediti: Nadezda Murmakova / Shutterstock.com
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