La questione dell’efficacia delle sanzioni applicate alla Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 continua a suscitare un acceso e polarizzato dibattito pubblico. Da un lato, gli scettici evidenziano il fallimento dei diversi pacchetti di sanzioni adottati dall’Unione Europea (UE) nella capacità di generare una profonda crisi economica o una ribellione degli oligarchi nei confronti del presidente Vladimir Putin. Dall’altro, i sostenitori ritengono che questo strumento economico di natura restrittiva possa generare una reazione del popolo russo contro il Cremlino e determinare non solo un tracollo economico, bensì un cambiamento di regime (regime change). Questo obiettivo sarebbe anche facilitato dal congelamento delle riserve in valuta della banca centrale russa all’estero e dall’esclusione delle principali banche russe dal sistema SWIFT (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication) che provocherebbero una svalutazione del rublo e l’aumento dell’inflazione con conseguenze dirette sui prezzi e sulle pensioni.

Indubbiamente, le sanzioni contro la Russia costituiscono le più severe misure punitive della storia mondiale, seguite da quelle a Iran, Siria e Corea del Nord, e un primo atto concreto in politica estera per disapprovare, denunciare, contrastare azioni ritenute illecite, illegali e contro i principi del diritto internazionale.

Le sanzioni sono state, infatti, un segnale importante di coesione interna dell’UE e di una solidità dell’alleanza euro-atlantica nel condannare le azioni russe. La governatrice della Banca centrale russa, El′vira Nabiullina, ha riconosciuto che le sanzioni hanno avuto un effetto immediato sul mercato finanziario e solamente nel medio-lungo periodo inizieranno ad incidere sull’economia. Ed è proprio questo il punto dirimente. Se si rivolge ad un’economista la domanda “funzionano le sanzioni contro la Russia?”, la risposta è tendenzialmente positiva se si considerano gli effetti sul mercato finanziario, bancario e su alcuni settori produttivi come i trasporti (l’Aeroflot è costretta ad inviare i propri aerei per manutenzione all’Iran), le infrastrutture e quello tecnologico.

A questo fanno da contraltare però altri tratti dell’economia russa. Come ha affermato il portavoce presidenziale, Dmitrij Peskov**,** «la questione del default economico sarebbe artificiale perché la Russia dispone di tutte le risorse necessarie per ripagare il proprio debito», ha riserve esenti da sanzioni e può contare su un sistema di «mercato parallelo» attraverso il quale dalla Turchia, dalla Cina, dall’India e da altri Paesi arrivano i prodotti necessari per sostenere il settore commerciale e tecnologico russo.

La risposta, peraltro, non può essere altrettanto positiva/ottimista se si prendono in considerazione gli effetti politici e sociali delle sanzioni. Già dalle prime sanzioni dell’UE del 2014 contro l’annessione illegale della Crimea alla Federazione Russa, la potente macchina propagandistica ha presentato la situazione come un ulteriore attacco dell’Occidente al popolo russo ovvero una «guerra delle sanzioni» paragonata ad un atto di aggressione internazionale, che «dà alla Russia il diritto alla difesa individuale e collettiva».

I livelli di preoccupazione della popolazione, rilevati dall’istituto di ricerca, Levada Center**,** circa l’impatto delle sanzioni sono ad oggi piuttosto simili a quelli del 2018, quasi ad indicare una radicata abitudine del cittadino medio a reagire e a sopravvivere ai tentativi destabilizzanti, secondo la propaganda del Cremlino, degli USA e dell’UE nei confronti della Russia. Paradossalmente dal 2014 ad oggi le sanzioni sono state un boomerang perché gli effetti hanno rafforzato il governo e il presidente, i livelli di nazionalismo e patriottismo, favorito la crescita dell’economia illegale.

Se si allontanano, quindi, scenari da regime change, è la situazione economica che rimane al centro della discussione. Abbiamo visto che in altri contesti come Cuba, Iran e Corea del Nord le sanzioni non hanno funzionato come ci si aspettava e il caso russo non sembra discostarsi da questo trend. Non solo enti russi, ma anche il Fondo monetario internazionale (FMI) ha rivisto in rialzo le stime di crescita dell’economia russa per il 2023 e il 2024, confermando quanto sia necessario approfondire le dinamiche della particolare resilienza economica (ekonomicheskaya ustoychivost′), legata non solo alle risorse energetiche e ai fondi di emergenza, bensì ad un sistema di de-dollarizzazione e di scambi commerciali in valuta rublo-yuan che sembrano costituire una formula vincente per allontanare lo spettro del tracollo economico. Una situazione congegnata non solo dalla Banca centrale russa, ma anche attribuibile ad un gruppo di giovani tecnocrati che hanno studiato e lavorato all’estero a cui Vladimir Putin si è rivolto per bypassare gli effetti delle sanzioni.

Al di là delle legittime opinioni sulla validità delle sanzioni, come dimostra il Global Sanctions Data Base il fattore temporale costituisce l’unica risposta concreta e ponderata ai detrattori di questo strumento che da solo, comunque, pare non essere sufficiente per destabilizzare i regimi non democratici o porre fine alle guerre.

Immagine: Persone camminano in strada in un clima primaverile, Mosca, Russia (7 aprile 2023). Crediti: YuryKara / Shutterstock.com

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