Nel Regno Unito il 13 gennaio si è conclusa la prima fase delle elezioni per la leadership del Partito laburista, quella riservata al gruppo parlamentare. Per potere superare questo passaggio era necessario ottenere il sostegno di almeno il 10% dei membri del PLP (Parliamentary Labour Party). In cinque hanno superato questo ostacolo: Keir Starmer con 89 voti, Rebecca Long-Bailey con 33, Lisa Nandy 31, Jess Phillips e Emily Thornberry entrambe con 23 voti.

Contemporaneamente, e con le stesse identiche regole, si stanno svolgendo le elezioni per il ruolo di deputy leader, il vicesegretario, resesi necessarie dalla decisione di Tom Watson ‒ annunciata nel novembre scorso ‒ di dimettersi dal ruolo e non candidarsi per un seggio in Parlamento. La figura del vice non è niente affatto formale in tale contesto, gode anzi di molta autonomia politica, tanto che, sia storicamente che nel passato recentissimo, attorno al ruolo di deputy leader si sono svolti feroci scontri politici e, addirittura, una scissione dolorosa all’inizio degli anni Ottanta.

Per il ruolo di vice hanno superato il primo passaggio Angela Rayner con 88 voti, Ian Murray con 34, Dawn Butler con 29, Rosena Allin Khan 23 e per ultimo Richard Burgon con 22 voti, il minimo necessario per accedere alla competizione.

La fase successiva, che durerà dal 15 gennaio al 14 febbraio, sarà dedicata agli iscritti del partito, dei sindacati e delle associazioni affiliate. Per passare al terzo e ultimo step dell’elezione, infatti, ciascun candidato dovrà ottenere in questa fase il sostegno di sezioni locali del partito (CLP, Costituency Labour Party) che rappresentino almeno il 5% degli iscritti oppure di due sindacati o associazioni affiliate che rappresentino almeno il 5% degli iscritti del Labour. Si tratta di un passaggio tutt’altro che formale, che potrebbe rappresentare un’insidia per più di un candidato delle due competizioni, specialmente per quelli centristi come Jess Phillips e Ian Murray, considerando quanto la base laburista abbiamo dimostrato di essersi spostata su posizioni più radicali.

I candidati che supereranno questo secondo vaglio saranno inseriti nella scheda elettorale sulla quale dovranno esprimersi gli iscritti al partito (c’è tempo fino al 20 gennaio per iscriversi al Labour e avere diritto di voto), gli iscritti ai sindacati affiliati e i “sostenitori”, cioè coloro che – pur non essendo iscritti al partito ‒ tra il 14 e il 16 gennaio si siano registrati pagando una quota di 25 sterline per ottenere il diritto di voto.

Le votazioni si terranno a mezzo posta tra 21 febbraio e il 2 aprile con il sistema del voto alternativo, ossia con la possibilità di indicare l’ordine di preferenza tra i vari candidati: in questo modo se al primo scrutinio nessuno dovesse raggiungere il 50% delle preferenze si procederà a scrutinare nuovamente le schede dell’ultimo classificato ridistribuendole in base alla seconda preferenza sino a quando uno dei candidati non ottenga la maggioranza assoluta. I risultati definitivi verranno annunciati il 4 aprile 2020.

Al momento la campagna elettorale non è ancora entrata del tutto nel vivo perché i candidati sono stati più concentrati sull’ottenere il sostegno dei propri colleghi parlamentari, ma alcune tendenze iniziali paiono già delinearsi.

La prima è che l’alleanza elettorale e sociale che ha supportato Jeremy Corbyn non sosterrà compattamente nessuno dei candidati in nessuno dei due ruoli apicali del Labour.

I due più grandi sindacati britannici, infatti, Unite e Unison, quasi sicuramente prenderanno strade differenti, diversamente da quanto avvenuto nel 2015 e nel 2016, con il secondo che ha già annunciato il suo sostegno per Keir Starmer, mentre il primo, che al momento non si è ancora schierato, potrebbe appoggiare Rebecca Long-Bailey. Alcune figure apicali della campagna di Jeremy Corbyn stanno poi convergendo sulla candidatura di Starmer, mentre altre si schiereranno sulla Long-Bailey.

Più in generale molte anime della sinistra britannica che si erano riunite nella campagna di Corbyn, si stanno dividendo in queste ore su più candidati per vari motivi: il primo è che, a differenza che nel 2015 e nel 2016, ci sono più candidati che rappresentano – seppure in maniera diversa – la sinistra interna del Labour e che si posizioneranno dunque in base a scelte politiche più che meramente identitarie.

A prima vista proprio Starmer, ministro ombra della Brexit e la Long-Bailey, ministro ombra per lo Sviluppo economico, paiono essere i due destinati a contendersi la vittoria finale: il primo è dato in testa ai sondaggi e ha ottenuto il maggior numero di voti nel gruppo parlamentare, ma sa bene di avere davanti a sé una strada molto lunga per assicurarsi la vittoria. La base del partito, infatti, è molto più radicale del PLP e in quella base la Long-Bailey potrebbe godere di un appoggio molto più ampio di quanto i sondaggi riescano a percepire, specie se gli iscritti di Momentum dovessero decidere di confermare la decisione del comitato centrale dell’associazione nata attorno alla campagna del 2015 di Corbyn di sostenere la Long-Bailey.

Potrebbe poi esserci una terza incomoda, Emily Thornberry, ministro ombra degli Esteri, entrata per il rotto della cuffia con 23 voti nel gruppo parlamentare, ma che è donna di grande esperienza e abilità politica, con una straordinaria capacità oratoria dai banchi dell’opposizione e molto efficace nei dibattiti televisivi; Thornberry potrebbe rubare la scena ai due favoriti, che hanno minore esperienza politica e parlamentare della meno quotata avversaria.

Per quanto riguarda il ruolo di deputy la favorita pare Angela Rayner, ministro ombra dell’Istruzione, non solo perché ha ottenuto un grande appoggio dal proprio gruppo parlamentare, ma soprattutto perché il sostegno alle sue spalle è trasversale a tutte le anime del Labour, compreso lo stesso comitato centrale di Momentum. Inoltre, Angela Rayner e Rebecca Long-Bailey sono molto amiche e, entrate insieme in Parlamento nel 2015 ed essendo state elette in collegi della zona di Manchester, condividono un appartamento a Londra e hanno entrambe annunciato la loro candidatura in ticket, dandosi dunque reciprocamente forze.

Anche in questo caso, però, i giochi non sono fatti, perché ci sono candidati come Richard Burgon ministro ombra della Giustizia, e Dawn Butler, ministro ombra per i Diritti e l’Eguaglianza, che pur avendo ottenuto pochi consensi nel gruppo parlamentare sono sicuramente molto popolari nella base del partito e venderanno molto cara la pelle nella seconda e terza fase dell’elezione.

Il panorama di questo congresso pare dunque molto più frastagliato di quanto potesse sembrare qualche settimana fa, quando sembrava destinato a segnare una sostanziale continuità con la leadership di Corbyn, anche se appare chiaro che la linea politica del Labour si sia definitivamente spostata su posizioni più radicali, tanto che anche i candidati più “moderati”, se si escludono gli esponenti di “bandiera” della destra del partito Jess Phillips e Ian Murray, sono comunque espressione della sinistra del Labour e stanno presentando linee politiche in sostanziale continuità con la svolta radicale imposta al partito dall’ascesa a sorpresa di Corbyn nel 2015.

Immagine: I deputati del Partito laburista alla Conferenza di Brighton, Regno Unito (24 settembre 2019). Crediti: Wanderscot / Shutterstock.com

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