Incrociando le statistiche sull’export diffuse mese per mese dal governo di Hanoi salta subito agli occhi un dato: la crescita costante e massiccia delle esportazioni del Vietnam. Con una popolazione di 97 milioni di abitanti e una superficie di 330.000 km2, il Paese del Sud-Est asiatico potrebbe presto entrare a far parte di quel gruppo di nazioni, riservato a pochi eletti, in cui l’export supera la produzione nazionale.

Come evidenziato dal Financial Times, se le stime del Fondo monetario internazionale sulla crescita del prodotto interno lordo vietnamita – prevista per quest’anno al 6,5% – saranno confermate e se le sue esportazioni seguiranno il trend mostrato finora, per Hanoi potrebbe delinearsi una situazione del tutto inedita: l’export di beni e servizi potrebbe attestarsi al 101% del PIL nazionale.

Uno scenario che si apre sulla scia disegnata dalla guerra commerciale tra USA e Cina. È in Vietnam infatti che molte multinazionali stanno spostando le loro attività per scrollarsi di dosso l’etichetta di made in China e fuggire così dalle tariffe americane. Sempre più società straniere bussano alla porta dei parchi industriali del Paese per cercare di spostare qui la loro produzione ed evitare così di essere risucchiate dal vortice dei dazi di Trump.

Sul fronte del conflitto tariffario, peraltro, le incertezze non sembrano attenuarsi: se da un lato il portavoce del ministero del Commercio cinese, Gao Feng, ha detto la settimana scorsa che sia Pechino che Washington intendono ridurre progressivamente le tariffe, dall’altro il presidente USA ha tenuto a sottolineare il giorno dopo di non aver ancora approvato l’accordo messo a punto dai suoi negoziatori commerciali.

Analizzando più nel dettaglio le statistiche sull’export pubblicate da Hanoi, è possibile constatare che tra le voci indicanti la tipologia di beni spediti fuori dei confini nazionali, alcune risaltano ben più di altre: è quello che accade, ad esempio, per “computer, prodotti elettrici, pezzi di ricambio e loro componenti” o per “telefoni, cellulari e loro parti”. Un dato che non sorprende, se pensiamo che oggi la multinazionale sudcoreana Samsung Electronics produce in Vietnam circa la metà dei suoi telefoni.

All’interno delle dinamiche che stanno ridisegnando le filiere produttive globali, il Vietnam sembra imporsi sul blocco ASEAN (Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico), confermandosi un’allettante alternativa alla Cina. Le ragioni appaiono molteplici: per citarne alcune, la sua vicinanza alla Repubblica Popolare, l’ambiente business friendly, l’accesso al mercato regolato spesso da accordi di libero scambio, un governo stabile e la manodopera giovane e relativamente a basso costo.

Il paradosso, però, è che gli indubbi benefici derivanti dalla guerra commerciale che vede coinvolte le due superpotenze mondiali, hanno posto Hanoi in una situazione non facile da gestire.

Il Vietnam dovrà prima di tutto dimostrare di essere all’altezza del nuovo ruolo che gli compete come base manifatturiera in rapida crescita. Diversi analisti, ad esempio, si chiedono se sarà in grado di sostenere l’aumento della domanda, in attesa di capire cosa accadrà sul fronte delle operazioni doganali, della capacità portuale e della qualificazione dei lavoratori, alcuni degli ambiti che potrebbero mettere più a dura prova la nazione dell’Indocina.

Inoltre, in un momento storico caratterizzato dall’inasprimento di barriere e tendenze protezionistiche, la dipendenza di Hanoi dalle esportazioni rende il Paese particolarmente vulnerabile. Come sottolineato da Bloomberg, poi, se la trade war ha insegnato qualcosa, è che una buona prassi da seguire per le multinazionali è la diversificazione. In altre parole, bisogna evitare di puntare tutto su una sola carta (leggasi Vietnam).

Uno dei timori è che presto o tardi il Paese del Sud-Est asiatico finisca seriamente nel mirino di Washington, dato che rientra tra quelle nazioni che hanno un alto surplus commerciale bilaterale con gli Stati Uniti. Dai dati diffusi dallo U.S. Census Bureau emerge che nel 2018 l’avanzo è stato di 40 miliardi di dollari, mentre nel primo semestre del 2019 è ammontato a 25,3 miliardi, vale a dire il 39% in più su base annua.

Messa sotto pressione, Hanoi ha siglato nel febbraio scorso intese per miliardi di dollari con Boeing e General Electric, nel tentativo di ridurre il surplus commerciale con gli USA. Erano i giorni in cui ospitava il secondo summit tra Donald Trump e Kim Jong-un.

Ma ciò non sembra aver influito sulla linea politica perseguita dall’amministrazione Trump. Nel luglio scorso, ai funzionari doganali statunitensi veniva dato l’ordine di riscuotere dazi fino al 456,23% sulle importazioni di prodotti siderurgici fabbricati in Vietnam tramite l’utilizzo di substrati provenienti dalla Corea del Sud e da Taiwan. Questo dopo che il Dipartimento del Commercio USA aveva reso noto che alcuni prodotti in acciaio fabbricati per l’appunto in Corea del Sud e a Taiwan erano passati per il Vietnam prima di essere esportati negli Stati Uniti, allo scopo di essere sottoposti a piccole lavorazioni. L’accusa rivolta ad Hanoi era di aver aggirato i dazi antidumping e compensativi imposti da Washington contro le due tigri asiatiche.

Due mesi prima, inoltre, il Dipartimento del Tesoro americano inseriva il Vietnam nella sua watch list dei possibili manipolatori di valuta. E non finisce qui. In un’intervista rilasciata il 26 giugno al canale statunitense Fox Business Network, Trump ha dichiarato che «il Vietnam approfitta di noi anche peggio della Cina», facendo intendere che il Paese del Sud-Est asiatico sarebbe potuto cadere presto sotto il tiro delle tariffe americane.

Ad ogni modo, non bisogna dimenticare che – come osservano su East Asia Forum James Riedel, professore emerito di Economia internazionale alla Johns Hopkins University, e Markus Taussig, professore associato di International Business presso la Rutgers University – il Vietnam non rappresenta una minaccia geopolitica per gli Stati Uniti. Al contrario, potrebbe essere un utile contrappeso agli obiettivi geopolitici della Cina e ricoprire un ruolo gradito a Washington nel blocco ASEAN. La logica, però, non sempre prevale in questo tipo di considerazioni.

Immagine: Terminal container della Saigon Newport Corporation (SNP) per il commercio estero, Ho Chi Minh City (Saigon), Vietnam (29 gennaio 2017). Crediti: Igor Grochev / Shutterstock.com

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