25 maggio 2023

La fragile tregua in Sudan e il rischio di una catastrofe umanitaria

In Sudan l’ONU denuncia la drammatica situazione in cui si trova la popolazione civile dopo più di un mese di scontri armati; nonostante le pressioni della comunità internazionale le prospettive di una duratura pacificazione rimangono incerte. Difficile fare un bilancio delle vittime della violenza dilagata a partire dal 15 aprile; secondo stime che potrebbero essere parziali, tra i civili sono state uccise più di 850 persone e 3.500 sono rimaste ferite, mentre coloro che sono fuggiti dalle proprie abitazioni sono centinaia di migliaia, quasi un milione. Le persone che hanno bisogno di cibo e di aiuti essenziali, secondo la valutazione di Inge Breuer, vicedirettrice del World Food Programme in Sudan, potrebbero «raggiungere i 19 milioni, che vuol dire il 40 % della popolazione del Paese». Lo scontro armato vede contrapposti le Forze armate sudanesi (SAF, Sudanese Armed Forces) guidate dal generale Abdel Fattah Al-Burhan, presidente in carica, e le Forze rapide di supporto (RSF, Rapid Support Forces), unità paramilitari fedeli al suo rivale, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, che ricopriva prima dello scontro la carica di vicepresidente.

L’alleanza fra i due attuali rivali si è andata progressivamente logorando negli ultimi mesi; nel 2021, Abdel Fattah Al-Burhan e Mohamed Hamdan Dagalo avevano collaborato per rovesciare il governo di transizione civile che tra molte difficoltà stava traghettando il Sudan verso la democrazia, dopo l’abbattimento del trentennale regime autoritario di Omar al-Bashir. L’esito dell’attuale conflitto è incerto: le RSF sono composte in buona parte da ex appartenenti ai Janjaweed, noti anche come ‘diavoli a cavallo’, che hanno combattuto in Darfur e sono stati accusati di atrocità e violazione dei diritti umani commesse durante quel conflitto. Le SAF possono contare anche sull’aviazione, uno strumento che sui tempi medi potrebbe risultare rilevante, ma la situazione di forte incertezza alimentare, secondo alcuni osservatori, facilita il reclutamento da parte delle milizie irregolari. Al momento, nella capitale Khartoum le due parti controllano aree diverse, creando una situazione caotica e pericolosa, anche perché le catene di comando non sono monolitiche ed efficienti per cui anche le tregue spesso non vengono rispettate dai diversi reparti che agiscono in città.

Il nuovo cessate il fuoco, concordato tra esercito e paramilitari con la mediazione di Arabia Saudita e Stati Uniti, in vigore dalle 19.45 di lunedì 22 maggio per consentire il passaggio di civili e aiuti umanitari, sta parzialmente funzionando, ma ci sono stati violazioni e addirittura alcuni attacchi aerei nella capitale e in altre zone del Paese. In un messaggio radio, Mohamed Hamdan Dagalo ha invitato i suoi combattenti a rispettare l’accordo, ha ringraziato Stati Uniti e Arabia Saudita, ma ha ribadito che si tratta soltanto di una tregua: «Non ci ritireremo finché non avremo posto fine a questo colpo di Stato».

 

La comunità internazionale sta prendendo coscienza del pericolo di una catastrofe umanitaria in Sudan e di una situazione che sta già provocando l’intensificarsi di flussi migratori diretti verso Paesi che hanno proprie difficoltà come l’Egitto e il Ciad. È importante sottolineare come in Sudan si è rifugiato circa un milione di profughi, provenienti nella maggior parte dei casi dall’Eritrea e dal Tigrai, che si trovano oggi in una situazione fragile e pericolosa. Ci sono ovviamente interessi in gioco, di carattere geopolitico ed economico, che vedono impegnati in primo luogo la Russia, gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti; ogni attore esterno cerca di acquisire dei vantaggi ma il precipitare della situazione probabilmente non conviene a nessuno. Se il Paese sprofondasse in una prolungata guerra civile le conseguenze sarebbero enormi, in primo luogo per le popolazioni civili ma ricadrebbero anche sugli equilibri globali creando nuove fonti di instabilità.

 

Immagine: Una giovane ragazza tiene in braccio un bambino vicino a una tenda dell’USAID (United States Agency for International Development) nel campo per sfollati interni di Al Salam IDP (Internally Displace Persons), Sudan (3 ottobre 2011). Crediti: USAID. Foto di Sven Torfinn [Attribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0)], attraverso www.flickr.com