Un turbinio di eventi e discorsi si addensa intorno alla giornata del 24 febbraio quando, un anno fa, il governo russo tentò la conquista dell’Ucraina con una seconda aggressione dopo quella del 2014. Essa è divenuta oggi l’apice fallimentare di una guerra decennale che rivela ormai compiutamente un significato politico ben più ampio del teatro europeo in cui si combatte. Su quel teatro gli effetti imprevisti della guerra russa contro l’Ucraina sono tanti e tali da rendere ogni bilancio parziale. Tutti però segnalano che la politica russa di divisione e ricatto in Europa è finora fallita, come pure un’offensiva bellica consumatasi in crimini di guerra, distruzione massiccia e logoramento inflitto e autoinflitto tanto umanamente devastanti quanto strategicamente sterili.

Spiccano però almeno tre esiti, tutti contrari alle intenzioni della potenza aggreditrice. Primo: la resistenza ucraina ha il sostegno di una coalizione di 54 Stati detta Gruppo di contatto a difesa dell’Ucraina, guidata dall’egemone americano. Secondo: l’Alleanza atlantica è più forte di prima. Terzo: l’Unione Europea difende l’Ucraina, con gli strumenti disponibili, come futuro Stato membro. La prima visita di Joe Biden a Kiev ha perciò lo stesso segno delle parole pronunciate da Ursula von der Leyen: «L’imperialismo russo non vincerà». Annalena Baerbock, ministra degli Esteri della Germania, ha invece ripetuto una formula più indiscutibile e già avanzata da Lloyd Austin, segretario della Difesa degli Stati Uniti: «Se la Russia cessa di combattere, la guerra è finita. Se l’Ucraina cessa di combattere, l’Ucraina è finita».

Questa formula omette tuttavia di ricordare che se la Russia cessa di combattere sarà sconfitta ed è questo che essa non vuole accettare perché, come ha ripetuto Vladimir Putin, «non può essere sconfitta». Il grumo di verità di questa tracotanza è che la vittoria è lo scopo di ogni combattente e la pace resta subalterna alla considerazione di questo scopo precipuo. Oggi è questo il nodo gordiano della guerra d’Ucraina, come lo è sempre nella guerra. Lo scrisse bene sant’Agostino chiarendo che tutti vogliono la pace e anche chi turba la pace «non vuole che non vi sia pace, ma che sia quale lui la vuole».

Se è così la pace non ha nemici ma solo amici e tra costoro si mostra oggi la Cina con un’annunciata «proposta di pace» che rappresenta la principale novità di questo scorcio di guerra. Lo è perché la missione europea di Wang Yi con destinazione centrale a Mosca palesa finalmente, al suo massimo livello, la dimensione politica effettiva della guerra in corso che non è un duello, bensì un triangolo di potenza: Washington, Mosca, Pechino. La fase attuale rispecchia più chiaramente questa costellazione politica generale che riporta al significato politico della postura cinese assunta finora.

La Cina ha offerto sostegno materiale e diplomatico alla Russia seguendo un concetto diplomatico diretto – secondo il ministero cinese per gli Affari esteri – al «progresso ulteriore del nostro partenariato strategico globale di coordinamento per una nuova era». La «nuova era» s’intende come la fine dell’egemonia statunitense e del suo sistema d’alleanze. È in questa prospettiva che l’esito della guerra d’Ucraina assume il valore di un momento cruciale per la definizione dell’ordine internazionale da parte di questa potenza revisionista.

Lo sfruttamento della Russia come perno di logoramento del ruolo americano e del suo sistema d’alleanze sul fronte bellico europeo è un’occasione importante, seppur rischiosa e ambigua. Se in certa retorica ufficiale cinese i rapporti con la Russia sono ormai definiti «come l’oro che non teme corrosioni», va però considerato che i triangoli di potenza tendono a produrre alleanze mutevoli e il loro valore reale è cangiante perché essi sono anche rapporti d’incessante sospetto e tensione fra tutte e tre le grandi potenze.

È vero che la Cina ha già assunto un ruolo bilanciante durante questo anno di guerra, caricando parte del suo peso politico a favore della Russia; ma essa ha anche esercitato pressione contro la sua minaccia nucleare – ossia depotenziandola. Stante questa condotta, l’ambizione di poter incidere con una «proposta di pace» nel conflitto internazionale resta coerente col tentativo d’affermarsi nel triangolo di potenza che circoscrive gli esiti possibili della guerra, anche a spese delle potenze aggredite. «La Storia non è giusta ed è imprevedibile», ha detto Zelenskij pochi giorni fa. In questo quadro d’incertezza sono valide parole ammonitrici.

Immagine: Raffigurazione delle bandiere della Cina, degli USA e della Russia. Crediti: Zbitnev / Shutterstock.com

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