Sin dalla fine degli anni Settanta, ossia da quando la Cina di Deng Xiaoping ha avviato la nuova politica di ‘riforma e apertura’ (gaige kaifang) – della quale lo scorso mese di dicembre si è festeggiato il quarantesimo anniversario – il Paese ha conosciuto una trasformazione a trecentosessanta gradi, passando dall’essere una società agricola chiusa e autosufficiente a seconda economia mondiale ‒ la prima in termini di parità di potere d’acquisto (PPA). Si è trattato di un processo lungo trent’anni che, al di là dei suoi effetti positivi, ha determinato non pochi sconquassi in seno alla società cinese, cadenzato da un rincorrersi di obiettivi accompagnati da parole d’ordine. Raggiunto il traguardo, la Cina non si è fermata.

Una delle ultime parole d’ordine in termini di tempo è stata pronunciata lo scorso mese di aprile dal presidente cinese Xi Jinping, in occasione del Bo’ao Forum for Asia (il corrispettivo asiatico del Forum economico mondiale che si riunisce annualmente a Davos), davanti a una platea di imprenditori cinesi e stranieri, sostenendo che la Cina deve fare uno sforzo straordinario per promuovere il passaggio dell’economia da una crescita ad alta velocità ad uno sviluppo di alta qualità nella nuova era. “Cong ‘you mei you’ zhuanxiang ‘hao bu hao’”, letteralmente ‘dall’avere o non avere’ ‘all’essere buono o meno’, che tradotto significa transitare da un’economia della quantità a un’economia di qualità. Dall’espansione quantitativa al miglioramento qualitativo, dunque.

Lo strumento per raggiungere questo obiettivo è già stato identificato da Pechino. È l’iniziativa Made in China 2025 (Zhongguo zhizao 2025) lanciata nel 2015, che si prefigge di trasformare la cosiddetta fabbrica del mondo (shijie gongchang) in una mega industria 4.0, con l’auspicio che in un futuro non lontano l’etichetta Made in China non costituisca più sinonimo di prodotti di imitazione e di beni a basso costo, prodotti in serie, quanto piuttosto emblema di innovazione e prodotti di elevata qualità.

Al contempo sono stati identificati i settori industriali nei quali il Paese vuole diventare competitivo, puntando ad acquisirne la leadership entro pochi decenni: biotecnologie, aerospaziale, trasporti e logistica d’avanguardia, robotica, veicoli elettrici, tecnologia quantistica, eccetera. Tra questi, come sempre, c’è un primus inter pares, sul quale la Cina ha puntato di più e ha già compiuto progressi notevoli. Si tratta della rengong zhineng, ossia l’intelligenza artificiale (AI), ritenuta strategica non solo per rendere la sua economia più innovativa, ma anche per modernizzare l’esercito e, più in generale, per accrescere la propria influenza a livello globale. Tutti ingredienti fondamentali per il raggiungimento del Zhongguo meng, del sogno cinese. L’obiettivo è di raggiungere la supremazia mondiale del settore entro il 2030, passando per l’azzeramento del divario tecnologico con l’Occidente già entro il 2020. Stando a quanto riportato dalla politologa Sophie-Charlotte Fischer, del Centro studi sulla sicurezza del Politecnico di Zurigo, in un articolo intitolato Artificial Intelligence: China’s High-Tech Ambitions, pubblicato nel febbraio del 2018 nella rivista Security Policy, la Cina sarebbe nella giusta traiettoria per il raggiungimento del nuovo traguardo, avendo già superato gli Stati Uniti in quanto a numero di pubblicazioni nel settore e in considerazione del crescente numero di aziende cinesi che stanno investendo in AI e che si sono stabilite nella Silicon Valley, in California, grazie agli incentivi del governo comunista.

Esattamente un anno fa, l’agenzia di stampa nazionale Xinhua riportava la notizia relativa al progetto di costituzione di un gigantesco parco tecnologico (di circa 55 ettari) dedicato allo sviluppo dell’intelligenza artificiale a Pechino da realizzarsi nell’arco di un quinquennio, in grado di ospitare fino a quattrocento aziende specialiste del settore, per un investimento stimato di circa 1,77 miliardi di euro, a conferma dell’importanza strategica attribuita all’AI. In effetti, oggigiorno l’intelligenza artificiale è onnipresente nella vita pubblica cinese. L’emblema è senz’altro costituito dal giornalista virtuale (rengong zhineng jiqiren) che ha fatto il suo debutto in televisione il 9 novembre 2018. Si tratta del primo presentatore virtuale a livello mondiale e lavora per la sopracitata agenzia di stampa nazionale Xinhua. Come dichiarato dalla stessa agenzia in un comunicato, riportato ampiamente dalla stampa internazionale, ivi compresa quella italiana, «Gli anchor con intelligenza artificiale sono entrati ufficialmente nella squadra dei reporter della Xinhua News Agency. Lavoreranno instancabili con gli umani per portarvi informazione tempestiva, autorevole e accurata, in lingua cinese e inglese». In effetti, sono due i prototipi di giornalista virtuale entrati a far parte dell’organico della Xinhua, uno parlante il cinese mandarino e l’altro un inglese fluente, che riproducono rispettivamente volti e voce di due giornalisti in carne ed ossa, molto noti al pubblico cinese, ossia Qiu Hao e Zhang Zhao.

Eppure di intelligenza artificiale si è iniziato a parlare relativamente da poco in Cina. Il termine è entrato per la prima volta in un documento ufficiale solo qualche anno fa. Si tratta del XIII piano quinquennale di sviluppo economico (Shi san wu), varato dal V plenum del XVIII comitato centrale del Partito comunista cinese (PCC) nell’ottobre 2015, e valido per il quinquennio 2016-2020, a dimostrazione di come lo sviluppo del settore fosse un obiettivo prioritario ai livelli più alti dei vertici del partito e del governo. Ma è solo nel luglio del 2017 che Pechino ha lanciato un piano di sviluppo – New Generation Artificial Intelligence Development Plan, Xin yidai rengong zhineng fazhan xianhua – che ha segnato ufficialmente lo sviluppo del settore dell’AI come priorità nazionale, ricevendo l’imprimatur ufficiale in occasione del XIX Congresso, nel successivo mese di ottobre, quando per la prima volta l’AI veniva specificamente menzionata in un rapporto di lavoro del PCC. Nel suo discorso inaugurale di quasi tre ore e mezzo, Xi Jinping ha toccato tutte le sfide che il Paese si preparava a vincere nei successivi trent’anni – dal mantenimento dell’unità nazionale, alla salvaguardia dell’ambiente, alla sconfitta definitiva della povertà, alla sicurezza informatica, alla modernizzazione dell’esercito, includendovi anche lo sviluppo della robotica e l’intelligenza artificiale – al fine di garantire alla Cina il passaggio senza traumi da un’economia di produzione a un’economia di servizi. Al contempo, si sono fatti sempre più frequenti i richiami di Xi Jinping affinché la Cina diventi un leader nella scienza e nella tecnologia e il protagonista indiscusso è senza dubbio l’AI.

È evidente come la Cina abbia fatto propria l’affermazione di Vladimir Putin, durante un incontro con gli studenti della città di Jaroslavl´  nel settembre 2017, in apertura dell’anno scolastico, ossia «Chi diventerà leader nell’Intelligenza Artificiale dominerà il mondo». E la Cina di Xi vuole diventarne il leader.

Crediti immagine: humphery / Shutterstock.com

Argomenti

#Silicon Valley#intelligenza artificiale#cina