Al largo delle coste cipriote, a metà strada tra Larnaca e Beirut, la nave piattaforma dell’ENI SAIPEM 12000, si trova al momento bloccata dalla marina militare turca. La notizia ha colto alla sprovvista l’opinione pubblica italiana, ma le tensioni sui diritti di sfruttamento dei giacimenti di gas dell’area sono alte ormai da anni. Come mai, però, la situazione è esplosa proprio ora, cogliendo apparentemente di sorpresa persino l’ENI? Cosa è cambiato, anche soltanto rispetto a poche settimane fa, quando la stessa nave stava compiendo analoghe ricerche per la compagnia petrolifera italiana, a poche miglia marine di distanza? Le cause sono sostanzialmente tre, e nonostante la curiosa coincidenza del recente viaggio di Erdoğan in Italia, sono quasi certamente collegate a tutt’altri eventi, che coinvolgono Cipro, la Turchia e perfino il caos siriano.

Per comprendere la situazione, evitando di ripercorrere l’intera storia del conflitto cipriota e concentrandosi sulle sue ricadute nella diatriba in corso, basti ricordare che nel 2011 sono stati trovati i primi giacimenti di idrocarburi nella Zona economica esclusiva cipriota. Quest’area è stata divisa in 13 blocchi di esplorazione, che ricadono per la maggior parte a sud dell’isola (ovvero nella zona controllata dalla Repubblica di Cipro) ma anche a sud-est (di fronte alle coste della zona controllata dai turco-ciprioti) e a sud-ovest (dove la Turchia sostiene sconfinino nella propria piattaforma continentale).

Fin dall’inizio la Turchia, dunque, ha reclamato parte dei diritti di sfruttamento: sostenendo che i greco-ciprioti non potessero utilizzare le risorse energetiche senza condividerle con la comunità turco-cipriota, che, a causa del conflitto e della separazione in atto fin dagli anni Sessanta, vive nell’autoproclamata Repubblica turca di Cipro del Nord. Di conseguenza, navi militari e di esplorazione turche stazionano da anni in quel tratto di mare, complicando le operazioni delle compagnie petrolifere che, come ENI, si sono aggiudicate i diritti di ricerca dal governo cipriota.

La posizione della Turchia è rilevante non solo dal punto di vista politico e militare, ma anche prettamente logistico, dato che molti analisti ritengono che questi cospicui giacimenti scoperti tra le coste cipriote, israeliane ed egiziane, potrebbero rivelarsi profittevoli soltanto collegandoli con un gasdotto alla rete di distribuzione internazionale turca. Mentre costi elevati, difficoltà tecniche e poco interesse degli investitori (visti gli attuali bassi prezzi sul mercato degli idrocarburi) renderebbero qualunque altra opzione improbabile.

Proprio ciò aveva costituito una nuova spinta alla ripresa del dialogo per giungere a una riunificazione dell’isola, con conseguente superamento degli ostacoli a una cooperazione tra Repubblica di Cipro e Turchia. Ma il fallimento delle trattative di pace, lo scorso giugno, ha riportato la situazione al punto di partenza. In questo contesto, il viaggio della SAIPEM 12000 è giunto in un momento particolare di questo conflitto freddo, attivando una serie di circostanze che hanno portato all’attuale situazione di stallo.

Il primo aspetto da chiarire è perché la nave piattaforma, che in realtà batte bandiera delle Bahamas, sia stata fermata soltanto ora. L’amministratore delegato di ENI, Claudio Descalzi, si è detto sorpreso per il fatto di avere già perforato pozzi nella zona e «in analoghe situazioni, senza che succedesse niente». Ma il giacimento “Calypso”, nel quale si trovava fino a pochi giorni fa la SAIPEM 12000, effettivamente senza problemi, si trova nel blocco 6: ovvero in una zona che non è considerata né parte della piattaforma continentale della Turchia, né dell’area ad est concessa dai turco-ciprioti alla compagnia petrolifera turca TPAO. Così come i blocchi 8, 9 e 11 nei quali aveva fino ad ora operato ENI.

Diversa è la situazione del blocco 3 (indicato con l’esotico nome Soupia, che però significa soltanto “seppia”), attuale destinazione della SAIPEM 12000, che è situato proprio di fronte al porto turco-cipriota di Famagosta. E ricade dunque in pieno nelle zone contestate.

A ciò si aggiungono gli ulteriori sviluppi geopolitici avvenuti negli scorsi giorni nell’area: uno nella parte greco-cipriota e uno nella parte turco-cipriota, collegato anche al conflitto siriano.

La scorsa settimana si sono tenute le elezioni presidenziali nella Repubblica di Cipro, che hanno portato alla rielezione di Nicos Anastasiades: uno dei responsabili del fallimento delle trattative per la pacificazione della scorsa estate. Infatti, appena reinsediato, Anastasiades ha subito ribadito la propria dura posizione sugli aspetti non negoziabili di un eventuale nuovo processo di pace.

Negli stessi giorni, la sede del giornale progressista turco-cipriota Afrika è stata attaccata da una folla di sostenitori di Erdoğan, dopo che questi aveva attaccato il quotidiano, colpevole – a suo dire – di avere protestato contro l’offensiva militare turca nella zona curda di Afrin, nel Nord della Siria.

Questo episodio di violenza ha reso palese la contraddizione in cui si trovano i turco-ciprioti, che sono dipendenti dalla Turchia per la loro sicurezza e per aggirare il sostanziale embargo attivo nei loro confronti, ma allo stesso tempo si sentono sempre più schiacciati nella propria autonomia e indipendenza da Erdoğan, che non gradisce il secolarismo e l’europeismo della comunità autoctona. Al punto, secondo alcuni, da essere in procinto di sostituirla demograficamente con turchi “fedeli” portati sull’isola dall’Anatolia profonda.

Ed ecco che, in tutto questo, l’arrivo della SAIPEM 12000 si è rivelato provvidenziale per il leader turco. Con una mossa sola ha dato una prova di forza nei confronti del presidente greco-cipriota, appena rieletto e già messo alle strette, e si è al contempo mostrato, verso i turco-ciprioti ribelli, come il vero protettore dei loro diritti.

Ora la Farnesina tiene monitorata la situazione e Bruxelles protesta. Ma la nave italiana sembra essersi arenata in una secca geopolitica che nessuno è stato capace di risolvere dalla guerra del 1974: disincagliarsi richiederà molto più che abilità nautiche.

Argomenti

#Erdoğan#idrocarburi#Turchia#Cipro