A oggi l’esercito giapponese è tra i pochi al mondo a non aver sparato un colpo e subito vittime in battaglia nel secondo dopoguerra. Le forze di autodifesa giapponesi (JSDF) sono impegnate soltanto nel fornire assistenza sul territorio alla popolazione in caso di calamità naturali, come tifoni, terremoti o uragani, e nelle operazioni per il mantenimento della pace all’estero che vengono svolte sotto il controllo dell’ONU e con il consenso delle parti in causa.

Dopo la disfatta dell’imperialismo giapponese nel corso della Seconda guerra mondiale, nel 1947 il Paese si è dotato di una Costituzione pacifista, che ha reso il Giappone uno “Stato di pace”. Ai sensi dell’art. 9 della Costituzione, infatti, “il mantenimento delle forze di terra, del mare e dell’aria, e così pure degli altri mezzi bellici non sarà mai autorizzato” e “il diritto di belligeranza dello Stato non sarà riconosciuto”. Ma non è detto che sarà sempre così.

Il trionfo di Shinzo Abe alle ultime elezioni potrebbe segnare una vera e propria svolta militarista per la nazione del Sol Levante. “Non si può esitare davanti alla Nord Corea che ci minaccia”: così il premier liberaldemocratico e nazionalista aveva concluso la sua campagna elettorale. Alla fine dell’estate, infatti, due missili nordcoreani avevano sorvolato l’isola giapponese di Hokkaido. “Non è più necessario che il Giappone esista accanto a noi. Questa è la voce dell’inferocito popolo ed esercito coreano”, aveva tuonato in seguito il dittatore Kim Jong-un, minacciando di “affondare” il Giappone.

Proprio questa minaccia proveniente dalla Corea del Nord ha spinto Abe ad andare alle elezioni anticipate (la scadenza naturale era prevista a dicembre 2018) con l’unico obiettivo di rafforzare la sua pattuglia parlamentare per rimuovere il pacifismo costituzionale e provvedere alla sicurezza del Paese. In un momento storico in cui la vicinissima Corea del Nord si arma di missili nucleari che senso ha professarsi pacifisti a tutti i costi e rinunciare a dotarsi di un esercito in grado di offendere e non soltanto di difendere? Alla luce della situazione attuale la rinuncia giapponese alla guerra, sancita sotto dettatura americana dopo la sconfitta nella Seconda guerra mondiale, ha ancora ragione di esistere?

Grazie alla vittoria nella recente tornata elettorale la coalizione guidata da Abe adesso ha i numeri per poter avviare la riforma che modificherà l’art. 9 della Costituzione pacifista. La procedura di revisione costituzionale richiede, infatti, una super-maggioranza di due terzi in entrambi i rami del Parlamento. L’unico ostacolo potrebbe essere rappresentato dal partito alleato Komeito, che, essendo di ispirazione buddhista, vanta con orgoglio una certa tradizione pacifista. Ma la preoccupazione derivante dalla minaccia di Kim Jong-un è tale che non è affatto escluso che Abe possa essere appoggiato anche dai banchi dell’opposizione. Una volta approvata la modifica in Parlamento sarà necessario convocare un referendum popolare per permettere al popolo giapponese di esprimersi sulla proposta di riforma.

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