La vittoria di Nixon sembra mostrare la magica potenza di law and order nel conquistare il consenso di quella che il nuovo presidente chiama «maggioranza silenziosa» (un’altra cosa ovviamente buona in sé, il senso ultimo della democrazia, in cui le decisioni si prendono contandosi e non facendo la voce grossa; ma di nuovo, in questi contesti, è un altro slogan usato come arma per chiamare a raccolta l’opinione bianca contro le minoranze di colore). Ma è davvero così? È indubbio che preoccupazioni e paure emergano dagli opinion polls del periodo. Nel maggio 1968 una commissione creata dal presidente Lyndon Johnson conclude che le cause delle rivolte urbane sono sociali (viviamo in «due società, una bianca e una nera – separate e ineguali»), e quindi sociali devono essere i rimedi; ma la maggioranza degli americani è in disaccordo. In agosto un sondaggio della Louis Harris dice che l’81% degli intervistati ritiene che «legge e ordine siano andati in frantumi nel paese». E dunque?
E dunque sì, ci sono elementi che suggeriscono che simili preoccupazioni e paure abbiano convinto un numero sufficiente di cittadini a far pendere la bilancia per Nixon. Dimostrarlo è arduo, tuttavia ci sono ricerche che aiutano a farsi un’idea. Esse mostrano come, nel periodo 1960-72, l’attivismo nero non-violento, anche quando subisce la violenza delle istituzioni o dei razzisti, crei una narrazione positiva nella maggioranza bianca e influenzi favorevolmente l’opinione e l’agenda politica progressista. Mentre le tattiche violente, comprese le risposte violente alla violenza, compresi i casi di giusta e legittima autodifesa, e tanto più i riots, generano ostilità, rafforzano i persistenti pregiudizi razziali altrui e influenzano l’agenda in senso repressivo. Spostano l’attenzione dal tema “diritti civili” (prevalente negli anni 1964-65) al tema “controllo sociale” (in crescita e poi prevalente negli anni 1968-72). E nel 1968 spostano una decisiva quota di elettori verso i repubblicani.
Ma se è andata così mezzo secolo fa, deve andare così sempre? È destino che vada così anche oggi? Nel mezzo delle estese proteste di questi giorni, alcune con appendici o frange violente, il LAW & ORDER! twittato tutto maiuscolo da Donald Trump può avere lo stesso effetto? Non è detto, non c’è alcuna legge storica che lo prescriva, e comunque ci sono ovvie differenze fra le due situazioni.
Le differenze più evidenti? Intanto il Nixon del 1968 è lo sfidante, può imputare ad altri la responsabilità del caos; Trump è invece il responsabile-in-capo anche se in perpetua pubblica negazione delle sue responsabilità (ma senza dimenticare che Nixon vince anche da incumbent, e ben più alla grande, nel 1972). In secondo luogo, benché le proteste nascano lungo la “linea del colore”, e derivino le parole d’ordine da Black Lives Matter, esse sono più estese e partecipate e composite per razza, etnia, religione, meno razzialmente polarizzate di quanto lo siano quelle degli anni Sessanta; sembrano ottenere riconoscimenti in ambienti impensabili, persino rompere vecchie fedeltà partisan (qui conta la, come dire, personalità di Trump). Infine, le manifestazioni sono meno minacciose dei vecchi race riots, infinitamente meno letali; e sembra che stiano evolvendo con rapidità verso espressioni politiche di massa, radicali e pacifiche, che convogliano l’attenzione sui problemi strutturali piuttosto che sulle vetrine spaccate.
Ho appena scritto “infine” – in effetti da qui l’analisi dovrebbe ricominciare. Ma è un’altra storia.
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Immagine: Scontro tra afroamericani e polizia a Fulton Street e Nostrand Avenue durante la rivolta di Bedford-Stuyvesant, New York, Stati Uniti (21 luglio 1964). Crediti: Stanley Wolfson. Fonte, https://www.loc.gov/pictures/item/2015650855/ [Public domain], attraverso commons.wikimedia.org