Un clima di incertezza avvolge le elezioni irachene del 12 maggio 2018. La sconfitta dello Stato islamico infatti non significa stabilità né sicurezza: le forze politiche sono estremamente divise e le appartenenze etniche e religiose sembrano ancora prevalere rispetto ai movimenti interconfessionali su base nazionale. La convivenza pacifica tra sunniti, sciiti e Curdi è lo sfondo sul quale si può innestare un percorso di ricostruzione; ma è un percorso su cui c’è molto lavoro da fare, perché al di là delle differenze pesano le ingerenze esterne (in primo luogo dell’Iran) e la pesante eredità di un passato, fatto di dittatura, guerre esterne, guerra civile. Un passato che non è del tutto tramontato: pesanti minacce sono state rivolte verso la fine di aprile dal portavoce dello Stato islamico, Abu Hassan Al-Muhajir, contro gli Stati arabi e in particolare contro il processo elettorale in Iraq.

Le elezioni parlamentari irachene coinvolgeranno 24,5 milioni di cittadini che dovranno scegliere i 329 parlamentari del Consiglio dei rappresentanti; spetterà ai deputati eleggere poi il presidente della Repubblica e il primo ministro. Al voto si presentano 27 coalizioni che riuniscono al loro interno 143 partiti. Al di fuori delle coalizioni parteciperanno altri partiti fino a un totale di 204 e quasi 7000 candidati, di cui 2014 donne. La maggior parte degli osservatori ritiene che difficilmente una sola coalizione raggiungerà la maggioranza ed è facile ipotizzare che dal processo elettorale uscirà un governo di coalizione o di unità nazionale.

Le principali coalizioni di ispirazione sciita sono quattro. Favorita nei sondaggi Nasr al-Iraq (la Vittoria dell’Iraq) del premier Haider al-Abadi, improntata al nazionalismo e al dialogo interconfessionale, anche grazie alla presenza di candidati sunniti. La lista punta a valorizzare soprattutto la vittoria che il governo e l’esercito iracheno hanno riportato contro lo Stato islamico.

Il principale rivale di al-Abadi, anche se in passato hanno militato nello stesso partito, è Nuri al-Maliki con la sua lista Dawlat al-Qanun (lo Stato della Legge). Al-Maliki è stato primo ministro dal 2005 al 2014 ed è stato spesso accusato di eccessiva vicinanza all’Iran e di incapacità di integrare la minoranza sunnita nella comunità nazionale.

Un’altra coalizione fortemente radicata nella comunità sciita e vicina all’Iran è I’tilaf al-Fatih (l’Alleanza della conquista), guidata da Hadi al-Ameri, leader delle Brigate Badr, espressione delle milizie sciite che hanno combattuto contro lo Stato islamico.

Vicina al premier al-Abadi la lista indipendente al-Hikma al-Watanyia (la Saggezza nazionale), guidata dall’ayatollah Ammar al-Hakim, che sembra poter raccogliere voti soprattutto tra i giovani.

Con un’impostazione più laica e nazionalista, alla ricerca di consenso tra le classi più povere, è una delle novità di queste elezioni, la lista I’tilaf al-Sa‘irun (l’Alleanza di chi progredisce), che comprende i militanti legati all’ayatollah Muqtada al-Sadr e il Partito comunista iracheno.

Per quanto riguarda la comunità sunnita è probabile che i voti vengano distribuiti tra I’tilaf al-Watanyia (l’Alleanza nazionale), il blocco d’ispirazione nazionalistica e laica capitanato da Ayad Allawi, e Qarar al-Iraqi (Decisione irachena), il cui rappresentante è Osama al-Nujaifi, uno schieramento più legato ad una identità di tipo confessionale.

Il fronte curdo si presenta più frammentato dopo la scomparsa, nell’ottobre 2017, di Jalal Talabani il leader storico del PUK (Patri­otic Union of Kurdistan; Unione patriottica del Kurdistan), che è stato a lungo presidente dell’Iraq. I due partiti alleati nel governo regionale, PUK e KDP (Kurdistan Democratic Party; Partito democratico curdo), correranno insieme. Invece, l’opposizione presenterà la propria lista Nishtiman (Terra natale), costituita dal partito Gorran (Cambiamento), dai partiti islamisti curdi e dalla Coalizione per la democrazia e la giustizia promossa da elementi fuoriusciti dal PUK sotto la guida di Barham Salih. In questo scenario dominato dall’incertezza, in un Paese che forse sta riuscendo a mettersi dietro le spalle la lotta cruenta contro lo Stato islamico, potrebbe prendere vigore una nuova idea di identità nazionale irachena, che oltrepassi i confini delle comunità confessionali e delle molte minoranze, provando a immaginare un interesse comune.

Crediti immagine: da Foreign and Commonwealth Office (Flickr: Counter-ISIL Coalition Small Group Meeting) [CC BY 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0) o OGL (http://www.nationalarchives.gov.uk/doc/open-government-licence/version/1/)], attraverso Wikimedia Commons

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