5 settembre 2018

Libia, raggiunto accordo per il cessate il fuoco

È arrivata nella serata di ieri la notizia dell’accordo raggiunto per il cessate il fuoco tra le milizie libiche. I termini dell’accordo, concluso con la mediazione delle Nazioni Unite, sono resi noti attraverso una serie di tweet dalla missione ONU per la Libia (UNSMIL, United Nations Support Mission in Libya), e prevedono la cessazione delle ostilità, la protezione dei civili, la garanzia che le proprietà pubbliche e private non verranno violate e la riapertura dell’aeroporto di Mitiga a Tripoli.

L’accordo arriva dopo giorni carichi di tensione e incertezza e di scontri e violenza diffusi. Il conflitto armato esploso alla fine di agosto a Tripoli tra la Settima brigata e le forze leali al presidente Fayez al-Sarraj risulta di non facile interpretazione, rispetto alle cause reali che lo hanno innescato e alle effettive intenzioni dei contendenti. La Settima brigata, guidata dal colonnello Abdel Rahim Al-Kani, ha la sua base naturale a Tarhouna, a sud di Tripoli ed è stata considerata a lungo affiliata al Governo di accordo nazionale; lunedì 27 agosto, con una mossa a sorpresa, si è messa in marcia verso la capitale dichiarando di voler eliminare la corruzione e gli abusi delle milizie di Tripoli, accusate di arricchirsi con i proventi del petrolio e gli aiuti internazionali.

Il cartello delle milizie che dominano nella capitale, tra cui spiccano Ghneiwa, Brigata dei rivoluzionari di Tripoli, Nawasi e la Forza speciale di dissuasione (Rada), ha accumulato un potere enorme all’ombra del governo di al-Sarraj; se lo scopo dei ribelli è contrastare la corruzione e riportare l’ordine in città oppure partecipare con più forza alla distribuzione del bottino, è difficile a dirsi. Appare evidente però che l’insieme delle forze che sostenevano al-Sarraj si sta sgretolando, rendendo sempre più precaria la situazione di questo leader, che sembra godere di maggiore considerazione all’estero che in patria.

Alcuni osservatori individuano dietro la ribellione l’accorta regia del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, da sempre avverso al governo di Tripoli. Il sostegno della Francia ad Haftar è stato uno degli elementi di frizione tra Parigi e Roma, che appoggia al-Sarraj; anche in questa occasione, la Francia è stata accusata di favorire la tensione e l’indebolimento del governo di Tripoli. L’effetto dell’azione della Settima brigata appare però quello di allontanare la prospettiva di elezioni in Libia entro l’anno, verso cui l’iniziativa diplomatica di Emmanuel Macron si era concentrata. Ad oggi sembrano prevalere il caos istituzionale e il proliferare dei conflitti armati tra le diverse milizie.

La novità di questi giorni sembra l’indebolimento della posizione di Fayez al-Sarraj che ha proclamato lo stato di emergenza e ha richiesto aiuto ai suoi alleati di Misurata; rispondendo all’appello del presidente, il 3 settembre la Forza antiterrorismo di Misurata, guidata dal generale Mohammed Al Zain, è entrata a Tripoli con i suoi mezzi corazzati. La comunità internazionale confida nella fine dei combattimenti e nella ripresa del dialogo tra le parti in conflitto; nonostante il cessate il fuoco, però, l’intreccio tra interessi economici, ambizioni politiche, rivalità tribali e ingerenze dall’estero difficilmente potrà sciogliersi in tempi brevi.

 

Crediti immagine: ANSA