Una settimana per perdere due Mondiali: il mese di giugno 2018, per il calcio del Marocco, è destinato ad essere ricordato per la delusione e la disillusione scaturite dalle aspettative nutrite tanto dalla Nazionale – impegnata in Russia ed eliminata anzitempo dopo le due sconfitte contro Iran e Portogallo – quanto dalla mancata assegnazione dell’organizzazione dell’edizione 2026 della Coppa del Mondo, aggiudicata alla candidatura congiunta di Stati Uniti, Messico e Canada.

Tutto in pochi giorni, su due terreni diversi: gli stadi di San Pietroburgo e Mosca per quanto concerne le sconfitte agonistiche, l’Expocentre della capitale russa – che lo scorso 13 giugno ha ospitato il 68° Congresso della FIFA – per quella politica. Al voto, per la prima volta, tutte le federazioni riconosciute dall’organizzazione, e il risultato è stato schiacciante: 134 a 65, a fronte di 4 astenuti, per l’assegnazione ad una candidatura che si fregia di un’insegna, “United”, oggi disperatamente in contraddizione rispetto a quanto sta accadendo alla frontiera fra Stati Uniti e Messico. Ma tant’è: gli 11 miliardi di dollari di introiti stimati per la FIFA dal comitato organizzatore (contro i 5 miliardi del Marocco) hanno evidentemente rappresentato una motivazione sufficiente a cancellare qualsiasi imbarazzo, e in questo senso la consapevolezza che allora non ci sarà più Donald Trump a presiedere gli Stati Uniti – così come, verosimilmente, non sarà più in carica quando si apriranno le Olimpiadi di Los Angeles 2024 – ha neutralizzato gran parte delle polemiche.

Al momento del voto non sono mancate le sorprese: il Marocco ha avuto il sostegno di gran parte delle federazioni calcistiche africane, ma non è riuscito a portare dalla propria parte tutto il continente (11 voti alla proposta United, alcuni scontati, altri meno: Benin, Botswana, Capo Verde, Guinea, Guinea Bissau, Liberia, Mozambico, Namibia, Sierra Leone, Sudafrica e Zimbabwe), ha trovato sponda da parte di Francia e Italia – quest’ultima nonostante la precedente gestione della FIGC, quella di Tavecchio, avesse di fatto garantito il voto agli United – e convinto Belgio e Paesi Bassi, ma tra le federazioni asiatiche, oceaniche e sudamericane (con le eccezioni, per quanto rumorose, di Qatar e Brasile, e quella ovvia della Corea del Nord) non c’è stata partita. Persino la Russia, considerata alla vigilia sostenitrice del Marocco, ha invece votato per la candidatura United. Il lavoro di lobby di Carlos Cordeiro, Decio De Maria e Peter Montopoli, presidenti rispettivamente delle federazioni di Stati Uniti, Messico e Canada ha insomma avuto gioco facile.

Che per il Marocco si sarebbe trattato di una partita pressoché impossibile da vincere è diventato chiaro a tutti a marzo, alla ricezione dei dettagli relativi al sistema di valutazione tecnica che avrebbe guidato la 2026 Bid evaluation task force nell’apprezzamento delle due candidature. La FRMF (Fédération Royale Marocaine de Football), la federazione calcistica marocchina, ha spiegato di avere ricevuto il documento con appena due giorni di anticipo rispetto alla deadline per consegnare a Zurigo il dossier completo sulla candidatura, un dossier che, a quel punto, inevitabilmente finiva per risultare border-line rispetto ai parametri stabiliti dalla commissione creata da Infantino. Per quanto la FIFA si sia premurata di confermare che nulla era cambiato rispetto alle prerogative necessarie fatte pervenire alle candidate nel 2017 e che il sistema di punteggio fornisse semplicemente «una metodologia per valutare e documentare il soddisfacimento di tali requisiti in alcune aree chiave». Ma la strada era segnata: fra i criteri per l’assegnazione del miglior punteggio, spiccavano una capacità di accoglienza aeroportuale i cui numeri ideali erano di almeno 60 milioni di persone all’anno (34 milioni le cifre degli aeroporti marocchini nel 2017) e il requisito minimo di 250.000 abitanti per ogni città-sede, aspetti sui quali la candidatura del Marocco già partiva in svantaggio: 4 su 5 il punteggio ottenuto dal comitato United, 2.7 su 5 per il Marocco, con la postilla della definizione di proposte «ad alto rischio» su stadi, trasporti e capacità ricettiva.

Con 14 stadi in 12 città, la candidatura del Marocco prevedeva la costruzione ex novo di 9 impianti (2 a Casablanca, uno a Marrakech, Meknes, Nador, El Jadida e Ouarzazate, oltre a quelli di Tetouan e Oujda per i quali i lavori sono già cominciati) e la ristrutturazione degli stadi di Tangeri, Fez e dello Stade de Marrakech, per un piano di investimenti complessivo di oltre 15 miliardi di dollari. Non è bastata l’immagine positiva di un Paese in crescita, che entro la fine del 2018 inaugurerà la sua prima tratta ferroviaria ad alta velocità, e sicuro, almeno per quanto concerne il rischio terrorismo. Ma si tratta pur sempre di una nazione a maggioranza musulmana e, considerando che nel 2022 il Mondiale si disputerà in Qatar (per la prima volta in un’area governata dall’Islam sunnita), anche questo aspetto potrebbe avere pesato sul voto di diversi delegati.

Così toccherà agli Stati Uniti, con Messico e Canada nel ruolo di vassalli; esito che la FIFA ha accolto con soddisfazione, anche perché si tratterà del primo Mondiale allargato a 48 squadre e che vedrà disputarsi ben 80 partite attraverso il nuovo format: una manna in previsione della vendita dei diritti TV, anche perché i diversi fusi orari tra città e città e rispetto all’Europa potranno garantire ore e ore di incontri in diretta. Sedici stadi per altrettante città, ancora non definite: il comitato organizzatore ha presentato una rosa di 23 impianti, e la scelta delle sedi definitive arriverà dopo un ulteriore processo di selezione interno al comitato. Di certo c’è che gli States ospiteranno 60 partite (comprensive di gara inaugurale e finale, a New York), Messico e Canada 10 a testa, e che tutte le strutture inserite nella short list sono già pienamente funzionanti e per oltre due terzi soddisfano i criteri FIFA: appena 6 stadi necessitano di alcune opere di adeguamento, ma si tratta di lavori non strutturali.

Sarà pertanto un Mondiale in netta contrapposizione con Qatar 2022, nel quale 9 di 11 stadi saranno costruiti appositamente per l’evento e resteranno, verosimilmente, le proverbiali cattedrali nel deserto, oltre che, banalmente, per le dimensioni geografiche. Una garanzia in termini organizzativi e commerciali, a maggior ragione considerando il precedente del Mondiale del 1994. E, anche allora, il Marocco fu il candidato sconfitto in sede di assegnazione.

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