15 dicembre 2022

Mondiali in Qatar, una scommessa sul futuro da 200 miliardi di dollari

 

I Mondiali di calcio sono entrati nel vivo della competizione. Nel corso di queste settimane l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale si è concentrata sul Paese ospitante, il Qatar. Sono molteplici gli argomenti oggetto di discussione e polemica, a cominciare dalle accuse relative alle condizioni (e al computo delle morti) dei lavoratori migranti che hanno reso possibile l’edificazione dei faraonici progetti infrastrutturali previsti dal governo di Doha. D’altra parte, ora che questo “delitto perfetto” si sta consumando, resta un aspetto decisamente meno discusso, ossia le ragioni che, in prima istanza, hanno indotto il Qatar a impegnarsi così tanto per ottenere e poi prepararsi per questi Mondiali.

Si stimano in circa 220 miliardi i dollari spesi complessivamente da Doha in infrastrutture (non solo sportive) correlate alla manifestazione. Sebbene il Qatar sia uno dei Paesi più ricchi del mondo, si tratta pur sempre di uno Stato di piccole dimensioni, con 3 milioni di abitanti (nella stragrande maggioranza lavoratori migranti) e con la capitale, Doha, come unica metropoli. Il PIL nazionale annuo, peraltro, negli anni dall’assegnazione dei Mondiali ad oggi non ha mai raggiunto la soglia dei 200 miliardi di dollari fatta eccezione per il 2014.

Ciò significa che nel corso degli ultimi anni, per ogni anno almeno, una ventina di miliardi di dollari dell’economia qatariota, ossia più del 10% del PIL annuale, sono stati destinati a progetti relativi ai Mondiali. Uno sforzo che si potrebbe considerare folle se si pensa che si tratta di una sola manifestazione, per quanto prestigiosa, della durata di due mesi, e a meno che non si prendano in considerazione le ragioni di più ampio respiro che hanno spinto il Qatar a gettarsi in questa vera e propria impresa nazionale.

Dei 220 miliardi di dollari spesi, infatti, solo una piccola parte è stata destinata alle infrastrutture propriamente sportive. Gli otto stadi che stanno ospitando le partite, per esempio, hanno richiesto un investimento di circa 6,5 miliardi. La gran parte della spesa, pertanto, è stata dedicata alla realizzazione di infrastrutture volte a far sì che il piccolo Paese fosse in grado di accogliere il flusso di visitatori previsto e non solo. Assieme alla realizzazione di alberghi, centri commerciali e altri luoghi di aggregazione, tra le principali opere realizzate vi è la metropolitana di Doha la quale, contando la centralità che la capitale ha rispetto al resto del Paese, è diventata di fatto una delle arterie di trasporto principali del Qatar.

 

Se la gran parte delle infrastrutture calcistiche sarà dunque destinata ad essere smantellata a Mondiali finiti il Qatar, con i suoi investimenti, spera che a restare sia piuttosto l’interesse internazionale nei suoi confronti, ed è in funzione di questo obiettivo che sono stati pensati gli enormi investimenti profusi nel corso di questi ultimi dieci anni. Il raggiungimento di tale obiettivo sancirà l’effettiva utilità dell’impressionante impianto infrastrutturale allestito nel piccolo Stato arabo. Non si tratta solo di evitare che tali costruzioni diventino delle proverbiali “cattedrali del deserto”, destino capitato a diversi altri Paesi che hanno ospitato mondiali di calcio e Olimpiadi. Il Qatar punta tutto il suo futuro su un crescente afflusso di persone, relazioni e traffici di natura globale grazie al nuovo volto che si è voluto dare in occasione dei mondiali, i quali, sostanzialmente, rappresentano non un fine bensì un primo, fondamentale, banco di prova di ciò che Doha vuol essere nei prossimi anni e decenni.

Da tempo tutti Paesi arabi del Golfo, non solo il Qatar, stanno investendo enormi capitali con l’obiettivo di rivoluzionare il proprio tessuto economico e sociale, nella speranza di poter conservare il proprio ascendente e benessere in un futuro in cui petrolio e gas naturale, che ancora oggi rappresentano le principali fonti di guadagno per questi Stati, non costituiranno più risorse fondamentali per la politica energetica. L’organizzazione di eventi di grande rilevanza internazionale rappresenta una delle numerose strategie previste da tali Paesi, forse la più importante se si considera che la capacità di attrazione a livello internazionale rappresenta uno degli asset fondamentali per il futuro successo di questi Stati.

I Paesi arabi del Golfo più estesi, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, da anni riescono a investire su una moltitudine di iniziative dal respiro globale ‒ basti pensare all’ultima edizione di EXPO, organizzata a Dubai, negli Emirati ‒ con l’obiettivo di forgiare nuovi hub economici, finanziari e turistici di respiro globale. Dall’altra parte, Paesi come il Bahrain e il Kuwait si accontentano di portare a compimento il proprio processo di transizione economica e sociale compatibilmente con le proprie, limitate risorse.

Il Qatar si trova, sotto questo aspetto, in una collocazione peculiare. Pur non disponendo delle risorse di Arabia Saudita ed Emirati, non intende accettare una condizione subalterna a questi due Paesi, con i quali, oltretutto, non corre affatto buon sangue, basti pensare ai due anni di embargo rivolto contro il Qatar proprio da parte di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed altre nazioni. Un futuro all’ombra di questi due Stati non amici è pertanto considerato inaccettabile dal governo qatariota.

Disponendo della sola Doha quale potenziale hub globale, a differenza dei suoi due vicini e rivali, la strategia qatariota è stata puntare su un solo, grande evento di respiro internazionale e su quello investire tutte le energie della nazione. L’obiettivo è sia di contrastare l’ascendente che già oggi esercita la principale metropoli della regione, l’emiratina Dubai, sia di rispondere ai visionari progetti sauditi rivolti tanto ad alcune delle sue città storiche, a partire dalla capitale Riyad, quanto a città che verranno costruite da zero, come NEOM.

Data la vicinanza tra queste città, tale “lotta” per il prestigio e la notorietà a livello globale assume contorni pratici fondamentali in termini di afflussi e introiti economici volti a consolidare il futuro. Tutti questi Paesi sono consapevoli che si tratta di un gioco a somma zero, per cui l’ascesa di una metropoli/hub globale non può non avvenire “a danno” delle città vicine. Gli investimenti fatti grazie agli introiti derivati da petrolio e gas naturale rappresentano del resto, per questi Paesi, una forza d’attrazione internazionale temporanea e che, almeno per il momento, attutisce gli elementi di conflitto. Tuttavia, nel medio e lungo termine, l’effettiva forza d’attrazione che città come Dubai, Abu Dhabi, Doha o Riyad potranno mettere in campo non dipenderà più dalla semplice disponibilità economica garantita dagli idrocarburi. Sarà quindi, in ultima istanza, la bontà di ciascun “progetto” a decretarne o meno il successo sulle rivali dal punto di vista finanziario, turistico, economico e culturale.

 

Con i Mondiali, il Qatar ha giocato le sue carte più importanti e si è lanciato ufficialmente in una nuova fase storica che vedrà la sua Doha competere con le vicine metropoli emiratine e saudite se non addirittura provare a sottrarre a Dubai lo scettro di “regina” nella regione. L’importanza della posta in palio per questo piccolo Paese è intuibile. Per tale ragione, nel bene o nel male, i Mondiali rappresenteranno un punto di non ritorno per il Qatar, e non di certo in senso prettamente sportivo.

 

Immagine: The Flag Plaza, dove sono esposte 119 bandiere di Paesi con missioni diplomatiche autorizzate, comprese le bandiere dell’Unione Europea, delle Nazioni Unite e del Consiglio di cooperazione del Golfo, Doha, Qatar (9 ottobre 2022). Crediti: Fitria Ramli / SHutterstock.com

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata