Il Consiglio NATO-Russia tenutosi nella mattinata di mercoledì 12 gennaio 2022 a Bruxelles non ha portato, dopo quattro ore di confronto, a risultati immediati. La delegazione russa è stata guidata da Alexander Gruško, viceministro degli Esteri, che ha una lunga esperienza di rapporti con l’Alleanza atlantica, maturati dal 2012 al 2018 quando era inviato a Bruxelles presso la NATO. La delegazione atlantica era composta dal segretario generale Jens Stoltenberg, dalla vicesegretaria di Stato degli Stati Uniti, Wendy Sherman e dai rappresentanti permanenti dei trenta Stati membri. Al centro del confronto la questione dell’Ucraina e delle garanzie legali richieste da Mosca sull’allargamento a est della Alleanza atlantica. Una questione resa attuale non soltanto dall’urgenza del dossier ucraino, ma anche dalle recenti prese di posizione della Finlandia, che non escludono la possibilità dell’adesione.
Mosca, percependo come una minaccia la presenza atlantica tra i suoi vicini, chiede il ritiro dall’Europa delle armi nucleari degli Stati Uniti, l’allontanamento delle forze convenzionali NATO dai suoi confini e l’impegno a non allargare l’alleanza a est, in particolare all’Ucraina e alla Georgia che hanno fatto richiesta. Proposte che la NATO non vuole e non può accettare, perché ancorata al diritto di ogni Paese di decidere liberamente se aderire o meno a una alleanza, pur ribadendo la differenza tra ‘la questione di principio’ e la ‘questione pratica’, cioè se di fatto l’allargamento a est ci sarà o meno. Le cosiddette garanzie legali, avanzate dalla Russia, sono state rispedite al mittente.
Gli alleati occidentali si sono mostrati invece disponibili ad aprire una trattativa sulla riduzione delle armi nucleari e in generale sul controllo degli armamenti. Una proposta che non sembra rassicurare Mosca, che considera la situazione densa di incognite. Si continuerà a trattare, ma secondo il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ci sono «differenze significative non facili da superare» anche perché dietro la posizione della Russia c’è il tentativo di «introdurre il concetto di sfere d’influenza». Molti osservatori hanno messo in luce come in questo contesto, che riguarda soprattutto la pace e la stabilità dell’Europa, proprio l’Unione Europea (UE) faccia fatica a far sentire con forza la propria voce, anche a causa delle divisioni interne. Il capo della politica estera della UE Josep Borrell ha messo in guardia dal ritorno alla logica di Yalta, cioè alla visione duale tipica della guerra fredda, che di fatto mette in secondo piano i Paesi europei. Pesa ad esempio l’esclusione dell’Europa dal vertice di Ginevra del 10 gennaio, quando si sono confrontati sull’Ucraina Wendy Sherman e il viceministro russo Sergej Rjabkov. In realtà, dare voce unitaria all’Unione nei rapporti con Mosca non è facile, perché si confrontano l’intransigenza di alcuni Paesi dell’Est, in particolare della Polonia e dei Paesi baltici, e la prudenza prevalente a Berlino, Parigi e Roma. Le questioni di principio sono ovviamente interconnesse con preoccupazioni più prosaiche, come le relazioni commerciali e le forniture energetiche, che spesso spingono i Paesi europei a differenziare le loro posizioni. Resta la consapevolezza per l’Unione Europea di dover acquisire una posizione unitaria e autorevole almeno nelle questioni che riguardano la propria sicurezza. Ma che la logica di Yalta non appartenga soltanto al passato lo dimostra il fatto che la stessa Ucraina non ha partecipato a questi due tavoli, a Ginevra e a Bruxelles, incentrati sostanzialmente sul suo destino e sui suoi confini.
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