Compattare la NATO e isolare sempre di più la Russia, tracciare le linee rosse da non oltrepassare per evitare un conflitto mondiale, rafforzare i legami fra Unione Europea (UE) e Stati Uniti, ma anche convincere la Cina a scaricare l’alleato russo. La missione in Europa del presidente statunitense Joe Biden ha obiettivi chiari, ribaditi incessantemente ieri durante la girandola di vertici che si sono susseguiti uno dopo l’altro: NATO, G7 e Consiglio europeo. Una giornata a suo modo storica se è vero, come si sostiene a Bruxelles, che mai la capitale belga aveva avuto tanti leader mondiali in città nello stesso momento. E che mai il capo di Stato di un Paese terzo aveva partecipato prima a una riunione del Consiglio europeo, come ha fatto ieri Biden.
Spostandosi da un quartier generale all’altro in una Bruxelles a tratti paralizzata dall’infinito corteo di auto che lo accompagnava, il presidente americano ha tracciato la prima linea rossa da non oltrepassare: la NATO risponderà se la Russia userà armi chimiche, e «la natura della risposta dipenderà dalla natura di questo utilizzo». La seconda linea rossa dovrebbe invece tracciarla oggi durante la visita di Joe Biden in Polonia, carica di messaggi simbolici a pochi chilometri dal fronte ucraino. Se un incidente dovesse prodursi all’interno del confine polacco, le conseguenze sarebbero imprevedibili.
Nessun intervento militare
I leader mondiali riuniti ieri a Bruxelles hanno ribadito in diverse forme la loro unità e condanna all’invasione russa dell’Ucraina, a un mese esatto dall’inizio degli scontri, minacciando e a volte annunciando (come nel caso della Gran Bretagna) nuove sanzioni contro Mosca. La NATO ha deciso di rafforzare la propria presenza militare nei Paesi dell’Est Europa e inviare nuovi armamenti e difese antimissilistiche alle forze ucraine. Tuttavia, ha chiarito il segretario Jens Stoltenberg – il cui mandato è stato prolungato ieri di un anno: «non manderemo truppe Nato sul terreno o aerei in cielo, perché abbiamo la responsabilità di assicurare che il conflitto non oltrepassi i confini ucraini causando ancora più sofferenza, morti e distruzione». «Dichiarare una no-fly zone sull’Ucraina», come chiesto incessantemente dal presidente Zelenskij, «significherebbe imporla, quindi attaccare in maniera massiccia i sistemi di difesa antiaerea russi in Russia, Bielorussia e Ucraina. E dovremmo essere pronti ad abbattere aerei russi. A quel punto il rischio di una vera e propria guerra fra la Nato e la Russia sarebbe molto alto».
Dopo l’ennesimo “no” dell’Alleanza atlantica alla creazione di una no fly zone, è arrivato anche l’ennesimo “no” dei leader europei alla richiesta di Zelenskij – intervenuto a distanza durante entrambi i vertici – di creare una procedura lampo per far entrare l’Ucraina nell’UE. Come già fatto a Versailles, e nonostante le pressioni di alcuni Paesi come la Slovacchia, i 27 hanno riconosciuto «le aspirazioni europee e la scelta europea dell’Ucraina, come indicato nell’accordo di associazione», in vigore dal 2017, ma nulla di più. Nessun riferimento all’ingresso più o meno immediato di Kiev nell’Unione.
Le pressioni sulla Cina
La priorità ora è puntellare ed eventualmente inasprire le sanzioni contro la Russia, ma anche assicurarsi che la Cina non rompa gli indugi schierandosi al fianco di Mosca. I leader della NATO hanno citato tale punto in maniera esplicita nelle conclusioni del vertice di ieri: «chiediamo a tutti gli Stati, inclusa la Repubblica popolare cinese, di rispettare l’ordine internazionale […], astenersi dal sostenere in qualsiasi maniera lo sforzo bellico russo ed evitare qualsiasi azione che possa aiutare la Russia nell’aggirare le sanzioni». Più vaghi, invece, i capi di Stato e di governo europei, nonostante sia chiaro il destinatario della frase: «il Consiglio europeo invita tutti i paesi ad allinearsi a tali sanzioni. Qualsiasi tentativo di aggirare le sanzioni o di aiutare la Russia con altri mezzi deve essere fermato». Dopo la riunione del G7, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha rivelato di aver avuto una conversazione con il presidente cinese Xi Jinping per chiedergli di condannare «con forza» l’invasione dell’Ucraina. Un pressing diplomatico che finora non ha dato frutti, visto che ieri Pechino si è astenuta nuovamente durante il voto sull’ennesima risoluzione dell’ONU di condanna all’azione di Mosca.
Il nodo dell’energia
Infine la questione energetica, oggi al centro della seconda giornata di lavori del Consiglio europeo. Se l’obiettivo nel medio termine è condiviso da tutti i membri dell’UE, cioè affrancarsi dalle forniture russe di gas e petrolio, modi e tempistiche stanno creando molte frizioni fra i 27. Per stessa ammissione di Biden, gli Stati Uniti possono permettersi un embargo alle importazioni da Mosca perché sono un esportatore netto di energia, mentre l’UE dipende dalla Russia per quote che variano fra il 25% e il 45% delle importazioni di carbone, petrolio e gas. Stati Uniti e UE hanno quindi annunciato il rafforzamento delle forniture di gas naturale liquefatto “made in USA” per 15 miliardi di metri cubi già quest’anno, assicurando che tale fornitura aumenterà per ulteriori 50 miliardi di metri cubi all’anno «almeno fino al 2030». Nessun blocco delle forniture russe, però, è al momento sul tavolo. La Germania guida il gruppo di circa 5 Paesi che si oppongono alle sanzioni su petrolio e gas, temendo che queste scatenino una recessione in Europa. Solo un ulteriore inasprimento del conflitto in Ucraina potrebbe eventualmente far loro cambiare idea.
Se, quanto e come la guerra rallenterà o accelererà la transizione verso fonti di energia rinnovabile, picconando il Green deal europeo, al momento è difficile prevederlo. Ciò che invece appare più evidente è l’attuale marcia indietro dell’UE sulla sua cosiddetta “bussola strategica”, che avrebbe dovuto rafforzare la sicurezza e la difesa dei 27 permettendo gradualmente di affrancarsi dalla NATO. Da paziente in uno stato di «morte celebrale», come l’aveva definita nel 2019 Macron, l’Alleanza atlantica appare oggi più unita che mai, al punto che Paesi storicamente neutrali come la Finlandia vorrebbero ora farne parte. La sovranità europea nel campo della difesa sembra sempre più un’utopia e l’ombrello statunitense rimane una protezione a cui nessuno è ancora disposto a rinunciare.
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