La Belt and Road Initiative (BRI) è stata annunciata per la prima volta dal governo cinese nel 2013, con l’obiettivo di definire politiche e programmi di investimento per lo sviluppo di infrastrutture e per l’accelerazione dell’integrazione economica tra i Paesi posti lungo il percorso della storica via della seta. Ovviamente con l’intenzione di riposizionare la Cina al centro dell’ecosistema geoeconomico di quest’area.

In pochi anni i progetti collegati alla BRI si sono moltiplicati in modo apparentemente estemporaneo, come discusso nella prima parte di questo viaggio lungo la “Nuova Via della Seta cinese”, senza che però venissero chiariti il programma strategico dell’iniziativa, i suoi confini, le sue caratteristiche o i piani per la sua implementazione. Tuttavia, incrociando quanto dichiarato dalle fonti ufficiali, con le informazioni a disposizione sui progetti effettivamente in corso è possibile tentare di tracciare un perimetro di massima della Belt and Road Initiative.

Le cinque priorità dichiarate della BRI sono: il coordinamento delle politiche di cooperazione tra Paesi coinvolti; la realizzazione di infrastrutture per migliorare connessione e connettività; la riduzione di ostacoli a commercio e integrazione economica; l’integrazione finanziaria e lo scambio culturale tra i popoli, con particolare attenzione ai media.

Poiché la gran parte degli investimenti si è concentrata sul secondo di questi punti, possiamo suddividere l’analisi della BRI in due macrosettori: quello principale legato alle infrastrutture e quello orientato allo sviluppo di una forma di globalizzazione alla cinese, fatta di integrazione politico-economica e aspetti legati al soft power culturale.

Una complessa rete intercontinentale di infrastrutture

Il lato infrastrutturale è quello più evidente, quello che ha fino ad ora ricevuto i due terzi dei finanziamenti e che è insito nel nome stesso del programma. L’idea originaria di costruire una nuova cintura (terrestre) e strada (marittima) che collegasse Oriente e Occidente lungo l’antica via della seta è stata, però, rapidamente sostituita da una più ampia rete di corridoi terrestri e rotte marittime, con una proiezione quasi globale.

I documenti della BRI fanno riferimento a sei corridoi terrestri e uno marittimo, ma i numeri e i tracciati variano di continuo. Ad esempio, uno dei sei corridoi terrestri tutt’ora indicato nel sito web ufficiale della BRI, ovvero quello che dovrebbe collegare Cina, Bangladesh, India e Birmania, sarebbe in realtà stato stralciato dal piano, per via della mancata volontà di partecipare da parte dell’India.

Al contrario, quelli marittimi sarebbero almeno due (o forse tre, vista la recente inclusione della “Via della Seta polare”) e in occasione della seconda conferenza internazionale dedicata al tema, tra biforcazioni ed estensioni, si poteva arrivare a contare un totale di trentacinque percorsi complessivi.

Cercando di fare ordine in questo caos, le principali direttrici terrestri risulterebbero essere attualmente cinque:

• Il nuovo ponte terrestre euroasiatico (identificato, come tutti gli altri, dal relativo acronimo inglese: in questo caso NELBEC, New Eurasian Land Bridge Economic Corridor) che raggiunge la Germania, passando attraverso lo Xinjiang, il Kazakistan, la Russia, la Bielorussia e la Polonia.

• Il CMREC (China-​Mongolia-Russia Economic Corridor) che raggiunge la Russia occidentale, attraversando la Mongolia.

• Il CCWAEC (China-Central Asia-West Asia Economic Corridor) che raggiunge la Turchia, passando attraverso l’Asia Centrale.

• Il CICPEC (China-Indochina Peninsula Economic Corridor) che percorre la penisola dell’Indocina.

• Il CPEC (China-Pakistan Economic Corridor) che raggiunge il Pakistan.

A questi si affiancano, per vie di mare:

• La “Via della Seta marittima del XXI secolo”, che dalla Cina meridionale attraversa i mari del Sud-est asiatico e l’Oceano Indiano fino al Corno d’Africa, dove si biforcherebbe tra una rotta a nord verso Suez e l’Europa e una rotta meridionale verso Nairobi e i mercati africani, tassello fondamentale della strategia cinese.

• La “Via della Seta polare”, frutto di un trattato con Mosca, che sulla carta dovrebbe collegare la costa cinese settentrionale con i grandi porti dell’Europa del Nord passando attraverso le acque territoriali a nord della Russia, ma fino ad ora sembra essere piuttosto un nome accattivante per un progetto di collaborazione tra compagnie energetiche nella ricerca e sfruttamento di idrocarburi in quelle delicate zone artiche.

Quando si parla di vie, infatti, non si deve pensare soltanto alle strade, ma a ferrovie, porti, così come anche a progetti di produzione e distribuzione energetica, di reti digitali e così via.

Allo stesso modo, anche le zone interessate dai progetti sono andate via via espandendosi, come visto nel caso artico, fino a comprendere regioni che nulla hanno a che vedere con la Via della Seta, tanto in Africa, quanto persino in America Latina. Così, pur se solo pochi di questi progetti hanno preso davvero vita e sono entrati in operazione, tutti questi elementi hanno finito per trasformare l’originale piano di infrastrutture in qualcosa di molto più ampio e forse più ambizioso, suscitando anche preoccupazione in alcune controparti.

La via cinese alla globalizzazione?

Uno studio della Banca Mondiale del 2019 ha giudicato positivamente i benefici che il miglioramento delle infrastrutture previsto dal BRI porterebbe ai Paesi partecipanti. Ma lo stesso documento sottolineava anche come, in realtà, i principali ostacoli allo sviluppo e all’integrazione economica non provenissero dall’assenza di infrastrutture, quanto da questioni politiche e burocratiche: dazi, burocrazia, corruzione e altri fattori economici e legali. Critiche che l’Unione Europea delle Camere di commercio in Cina ha recentemente esteso anche alla BRI, lamentando la mancanza di informazioni, la poca trasparenza nella gestione dei progetti, le assenti o inaffidabili procedure di appalto.

L’ambizione della Cina sarebbe, però, proprio quella di definire un innovativo modello di globalizzazione, come illustrato da quattro delle cinque priorità della BRI, dedicate proprio all’integrazione economica, finanziaria e culturale. Centinaia di accordi sono stati siglati in questo senso e molte risorse sono state utilizzate per le iniziative più svariate: dalle mostre alle sfilate di moda, finendo per racchiudere le moltissime attività estere che il governo cinese organizza, con l’obiettivo di incrementare la propria influenza geopolitica. Ma tutto questo avviene in modo estemporaneo, su misura per le singole circostanze e apparentemente sconnesso da una regia generale. Così che la Via della Seta cinese, al momento, non comprende un accordo commerciale unitario, né tanto meno sembra ambire a diventare un’area di libero scambio o la fase larvale di un blocco internazionale di Paesi come potevano essere quelli della guerra fredda.

Ancora una volta, dunque, appare più semplice stabilire cosa non sia la BRI, rispetto a che cosa effettivamente sia. Così che chi si schieri a favore o contro può trovare ragioni per l’una o l’altra posizione senza alcuna difficoltà.

Per anni, queste ambiguità hanno consentito a molti Paesi di evitare di prendere posizione o di aderire alla BRI, mantenendo però fedeltà anche agli alleati occidentali: è il caso dell’Italia stessa, ma anche dell’Australia, prima che quest’ultima decidesse di ritirarsi, poche settimane fa. E secondo molti osservatori, si avvicina sempre di più il tempo in cui questi equilibrismi potrebbero non essere più possibili.

Immagine: Circolazione ferroviaria sulla tratta Ürümqi-Kashkar, Xinjiang, Cina. La rete ferroviaria nella vecchia via della seta supporta un progetto Belt and Road Initiative. Crediti: C. Na Songkhla / Shutterstock.com

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