Nella prospettiva di un regime non democratico, stabilità politica significa continuità e continuità di regime significa neutralizzare tutto ciò che può metterla a repentaglio. In Cina, come in altre parti del mondo, le manifestazioni di piazza sono tra le principali minacce alla continuità di un regime politico autoritario. La protesta è un elemento ricorrente della vita politica cinese: se ne hanno esempi storici, come le proteste del 1989 in piazza Tienanmen, quando gli studenti coinvolsero i lavoratori in un ampio movimento che chiedeva riforme politiche, ed esempi più recenti, come la protesta degli studenti del Zhongbei College affiliato all’Università Normale di Nanchino, nel Jiangsu, che, nel luglio 2021, trattennero un preside nel campus per più di 30 ore nell’ambito di un mobilitazione contro la temuta “svalutazione” del proprio titolo di studio provocata dall’annunciata fusione del college con un istituto professionale.

Come evidenziato da questi due casi, esiste un’importante differenza tra il 1989 e oggi. Nella Cina odierna si presentano due tipi di contestazioni: quelle “pratiche” o “a bassa priorità”, al contempo poco influenti e molto numerose; e quelle “sistemiche” o “ad alta priorità”, mosse dall’insofferenza verso l’assetto politico del Paese, influenti, ma poco frequenti. Mentre il movimento di piazza Tienanmen esprimeva posizioni anti-sistemiche frutto di una fondamentale insoddisfazione verso il regime autoritario imperniato sul Partito comunista cinese, gli episodi di protesta più recenti tendono a riflettere rivendicazioni assai più circoscritte, come nel caso del college di Nanchino. Esempi simili e piuttosto diffusi riguardano la riduzione dei salari o l’innalzamento dei prezzi degli immobili, a testimoniare come oggi le contestazioni abbiano ad oggetto le difficoltà della vita quotidiana e le condizioni materiali in cui versa la popolazione.

Una caratteristica comune tanto alle proteste sulle questioni pratiche quanto a quelle rivolte contro il sistema nel suo complesso è il ruolo dei social media, che negli anni sono diventati importanti canali di espressione e partecipazione politica. Le piattaforme sono un buon punto di partenza per comprendere le origini e le traiettorie della contestazione politica. Nella Cina contemporanea le proteste nascono soprattutto come critiche alla governance locale e la maggior parte ha come oggetto rivendicazioni economiche: salari non pagati, truffe, risarcimenti per terreni o proprietà espropriate dal governo. Le proteste servono a bypassare i leader locali quando si dimostrano poco reattivi alle richieste dei cittadini e ad attirare l’attenzione dei loro superiori. Di solito, però, non esprimono critiche di fondo al governo centrale o al sistema politico cinese.

Questa situazione non è da imputare alla miopia della società civile cinese. Sarebbe un errore pensare che i manifestanti non mettano in collegamento i problemi economici e le loro cause politiche. La cautela è strategica: gli attivisti sanno che non appena la rivendicazione si allarga può essere percepita come una critica al governo e questo potrebbe impedire di proseguire nelle proteste o rendere inevitabile la repressione. Per questo chi sceglie di protestare si organizza per formulare le proprie richieste con modalità più accettabili. Succede spesso, ad esempio, che regolari dipendenti di azienda, per difendere i propri diritti dalle società per cui lavorano, si mobilitino qualificando sé stessi come “gruppo vulnerabile” o “svantaggiato”, bisognoso dell’intervento governativo.

Sulle piattaforme digitali, dove nascono la maggior parte delle proteste, le rimostranze pratiche e sistemiche tendono a convergere. Internet, infatti, rende le proteste visibili a tutti e amplifica la portata del conflitto. Quando i cittadini danno voce a preoccupazioni che sono ignorate dal governo, o sono testimoni di alti livelli di repressione, la diffusione di materiale on-line può accelerare i processi di radicalizzazione e le proteste possono diventare più problematiche per la stabilità del regime. Questa condizione pone un dilemma per il governo cinese che, se da un lato necessita di avere informazioni circa le rivendicazioni pratiche e i bisogni della popolazione per poterli soddisfare, dall’altro non può tollerare critiche che coinvolgano il sistema politico. Sempre più spesso, la soluzione a questo dilemma si trova nel tentativo del governo di creare canali di partecipazione politica per permettere ai cittadini di dare voce ai propri bisogni e alle proprie preoccupazioni, allo stesso tempo convincendoli a rivolgersi alle autorità per trovare una soluzione e riuscendo così a neutralizzare le rivendicazioni di più ampio respiro.

La strategia, dunque, è quella di promuovere l’utilizzo di canali ufficiali per gestire il malcontento e di favorire la comunicazione con i cittadini coinvolgendoli in uno sforzo di miglioramento della governance locale. In questo contesto, la leadership utilizza internet per promuovere consultazioni sulla qualità dei servizi pubblici e trarne elementi per affinare la selezione, la formazione e la valutazione dei quadri locali. Le piattaforme sulle quali è possibile sottoscrivere reclami pubblici, inesistenti in Cina fino ai primi anni Duemila, nel 2018 erano più di 500. I cittadini le usano soprattutto per aprire vertenze su questioni pratiche: un esempio comune sono i reclami per la mancanza di posti auto. Ma le questioni legate alla qualità della vita non vanno sottovalutate, perché sono alla base della legittimazione del Partito comunista cinese, da decenni basata proprio sul miglioramento delle condizioni di vita della popolazione.

Un altro metodo per salvaguardare la continuità di regime è prevenire le proteste controllando il discorso pubblico on-line. Su Weibo, uno dei principali social network cinesi, gli account istituzionali sono cresciuti a dismisura tra il 2009 e il 2020. Si tratta soprattutto di account ufficiali delle forze di polizia, dei dipartimenti governativi e degli uffici giudiziari, che condividono dati e notizie sulle detenzioni e sulle condanne per violazioni delle norme in materia di ordine pubblico e pubblicizzano gli sforzi delle autorità in difesa dei lavoratori.

L’aumento dei canali ufficiali di partecipazione politica e dialogo con le autorità, e la contestuale enfasi sull’illegalità delle proteste, sono due degli strumenti più ampiamente adottati dal governo cinese per garantire la stabilità di regime. L’obiettivo è depotenziare la protesta come mezzo per costringere l’autorità ad ascoltare i cittadini e a risolvere le controversie. In un contesto in cui esistono tanti modi legali di farsi ascoltare, infatti, perché ricorrere a un’azione collettiva illegale? In questo quadro, protestare è non solo vietato, ma diviene una condotta gratuita, dannosa e moralmente deplorevole anche agli occhi dell’opinione pubblica. Il risultato di questi sforzi è funzionale alla stabilità politica: quando la protesta è marginalizzata, la sua eventuale repressione è giustificata, e la continuità politica garantita.

* Questo articolo riprende i contenuti della lezione tenuta da Christian Göbel (Università di Vienna) il 1° luglio 2022 presso la 16ª TOChina Summer School, Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino.

Immagine: I passeggeri guardano i propri telefoni cellulari in un treno della metropolitana, Città di Pechino (19 maggio 2018). Crediti: wonderlustpicstravel / Shutterstock.com

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