In un modo molto netto, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha preso posizione martedì 12 ottobre sulla questione di Taiwan, nelle ultime settimane al centro dell’attenzione della comunità internazionale per le forti tensioni che si sono create con la Repubblica Popolare Cinese. Una situazione che rappresenta un pericolo per la pace e la stabilità non soltanto a livello regionale. Le parole di Lavrov entrano con forza in questo contesto: «Proprio come la stragrande maggioranza degli altri Paesi, la Russia vede Taiwan come parte della Repubblica Popolare Cinese. Questa è la premessa da cui procediamo e continueremo a procedere nella nostra politica». Una posizione che però non va interpretata in modo semplicistico, come un semplice allineamento sulle ambizioni di Pechino.

L’asse tra Cina e Russia esiste, ma, secondo molti osservatori, Mosca sta gestendo in primo luogo una complessa politica autonoma che guarda con attenzione alle reazioni di Washington per raggiungere propri specifici obiettivi. Da un lato, assecondandone le aspirazioni territoriali, la Russia potrebbe ottenere dalla Cina un importante lasciapassare sulla Crimea e sugli altri contenziosi ai suoi confini; dall’altro, anche se alcuni indicatori soprattutto economici potrebbero suggerire altre gerarchie, Mosca vuole sottolineare come le potenze a livello globale siano tre, suggerendo una più complessa riedizione del cosiddetto Grande gioco in Asia e in Medio Oriente. La Russia vuole avere voce in capitolo, confrontarsi con gli Stati Uniti e tutelare i suoi interessi globali; il suo attivismo in Africa, nell’Asia centrale e nel mondo arabo testimoniamo almeno una capacità di manovra, non sempre sostenuta da basi economiche adeguate.

Ma sul fronte militare il peso della Russia è incontestabile. Mosca ha annunciato mercoledì 13 ottobre l’attivazione della prima batteria dei sistemi missilistici terra-aria S-500 Prometheus e in pochi mesi il nuovo sistema sarà dispiegato su tutto il territorio. In prospettiva, lo sviluppo di potenti e sofisticati sistemi missilistici garantirà alla Russia margini di sicurezza ma anche di trattativa con gli Stati Uniti. Per sedersi a un tavolo a trattare può essere utile avere argomenti pronti ad entrare in azione. Non bisogna mai dimenticare che la questione di Taiwan non è affatto un contenzioso regionale; per la sua storia e per gli attuali equilibri geopolitici ricopre un posto di rilievo nello scenario globale. La Cina la ripropone con forza, con le dichiarazioni del suo presidente Xi Jinping che ha definito la riunificazione «inevitabile e necessaria» e con le minacce a chi si opporrà a questo processo, pur preferendo Pechino la via pacifica. Parole accompagnate da centocinquanta violazioni dell’area di identificazione aerea taiwanese nel giro di pochi giorni. La presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, ha risposto con fermezza alle pressioni di Pechino dichiarando che difenderà «lo stile di vita democratico» e rafforzerà «la difesa nazionale». Gli Stati Uniti hanno assicurato che continueranno ad assistere Taiwan nel mantenere «una sufficiente capacità di autodifesa» esortando la Cina a rinunciare alle sue pressioni. Questa scelta di Washington è ancorata ovviamente alla strategia di minare l’egemonia cinese in Asia, con pressioni e alleanze. La mossa della Russia non mira a lasciare mano libera alla Cina per un’eventuale azione militare contro Taiwan, dalle conseguenze imprevedibili; serve piuttosto a ricordare che in Asia c’è un altro protagonista e che tutti, ma soprattutto gli Stati Uniti, dovranno tenerne conto.

Immagine: Skyline di Taipei, Taiwan (17 dicembre 2016). Crediti: Connie [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], attraverso Wikimedia Commons

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