Donald Trump ha repentinamente cancellato la sua visita a Copenaghen, da tempo concordata e pianificata per il 2 settembre, dopo che le autorità danesi si sono rifiutate di discutere la sua offerta di acquistare la Groenlandia.

Ritenuta inizialmente una battuta, la proposta del presidente americano di acquistare l’enorme territorio artico è stata successivamente confermata come autentica. Ma quali interessi potrebbero celarsi dietro quella che è stata definita semplicemente come “una grande operazione immobiliare”? Molte spiegazioni degli osservatori politici si sono concentrate sugli aspetti psicologici del presidente USA, ma altre cercano di giungere alla radice delle possibili motivazioni geopolitiche dietro all’azzardata richiesta, che per ora ha soltanto portato a Donald Trump l’ennesima gaffe diplomatica.

Grande sette volte l’Italia e oltre cinquanta volte il territorio continentale della Danimarca, di cui costituisce un territorio autonomo, la Groenlandia è la più grande isola del mondo e già un’altra volta era stata dichiarata “non in vendita” dai danesi a fronte della richiesta di un presidente americano. Era il 1946 quando Harry Truman offrì 100 milioni di dollari per assicurarsi la posizione strategica dell’isola nel quadro della guerra fredda, finendo poi per accontentarsi del permesso di utilizzare la Thule Air Base, tutt’ora in funzione. Ma già il segretario di Stato di Lincoln, William Henry Seward, aveva tentato di convincere il presidente ad aggiungere al carrello della spesa anche la Groenlandia e l’Islanda, mentre era impegnato a discutere l’acquisto dell’Alaska dai russi, successivamente perfezionato dal presidente Andrew Johnson.

Tra le motivazioni di Trump potrebbe esserci proprio quella di volersi assicurare uno spazio sui libri di storia americani con il merito di aver aumentato di oltre un quarto la superficie degli Stati Uniti, affiancandosi così allo stesso Andrew Johnson e a Thomas Jefferson, a cui si deve l’acquisto della Louisiana dai francesi nel 1803.

Ma secondo alcuni analisti, come confermato in parte dal segretario di Stato americano, Mike Pompeo – impegnato in questi giorni a tentare di ricucire la frattura con gli alleati dopo le dichiarazioni di Trump contro la Danimarca –, dietro alla proposta di Trump ci sarebbero ragioni fondate e concrete: la necessità di ribattere al dominio cinese nell’estrazione di metalli e terre rare, l’utilità dell’isola nel bilanciare la crescente attività militare russa nell’artico, senza contare la probabile presenza nell’area di riserve di idrocarburi.

Sotto i ghiacci un tempo perenni (ma in procinto di sciogliersi sempre più rapidamente) della Groenlandia si trovano alcuni dei più grandi giacimenti al mondo di metalli rari, come il neodimio, il praseodimio, il disprosio e il terbio, così come l’uranio e lo zinco. Per molti anni le compagnie americane di prodotti tecnologici come smartphone, computer e auto elettriche, si sono rifornite di questi elementi dalla Cina, che ne possiede quasi il monopolio, tra quelli presenti nel proprio territorio nazionale e quelli nelle miniere acquistate in Africa centrale e meridionale. La scoperta di riserve sconosciute in Groenlandia da parte di una compagnia australiana ha aperto la possibilità di non dipendere completamente da Pechino e anzi, potenzialmente, di entrare in competizione con la Cina anche in questo settore. Un discorso analogo vale per gli idrocarburi, visto che la Groenlandia si trova al centro di un’area che si ritiene possa ospitare complessivamente il 13% del petrolio e il 30% del gas non ancora scoperto. L’ipotesi che Trump voglia comprare la Groenlandia per dare il via libera alle corporations americane per procedere all’estrazione di queste risorse, accelerando ulteriormente lo scioglimento dei ghiacci, ha già movimentato il mondo ambientalista, secondo cui ogni valutazione economica dell’isola artica dovrebbe prima di tutto tenere conto del valore inestimabile che i suoi ghiacciai hanno per l’equilibrio climatico mondiale.

Per quanto riguarda il ruolo della Russia in questa operazione, le ipotesi sono numerose e a volte tra loro contrastanti. Secondo alcuni analisti il progetto sarebbe nato nella mente di Trump proprio discutendo con i suoi consiglieri della necessità di sviluppare ulteriormente la presenza militare americana in Groenlandia per bilanciare le attività russe nell’Artico. Invece di limitarsi a discutere con la Danimarca della concessione di basi, il presidente americano avrebbe pensato di proporre direttamente l’acquisto dell’intero territorio. Ma secondo altri osservatori, la querelle sarebbe invece funzionale alla volontà di Putin di consolidare il proprio dominio nei territori artici, che a causa dello scioglimento dei ghiacci potrebbero presto assumere un ruolo ancor più rilevante sia in campo energetico che come vie commerciali. In questa prospettiva la lite tra alleati strategici ridurrebbe la capacità della NATO di collaborare nel quadrante, facendo apparire il presidente USA come una pedina in un gioco di cui non vengono colti appieno tutti i risvolti.

Un’ultima teoria, che ribalterebbe tutto quanto discusso fino ad ora, è quella di David Frum, autore del libro Trumpocracy e in passato stretto collaboratore di George W. Bush, secondo il quale l’intera questione dell’acquisto della Groenlandia sarebbe un pretesto costruito ad arte da Trump per far saltare la visita in Danimarca. In questo caso si tornerebbe alle motivazioni psicologiche che potrebbero essere alla base della goffa serie di dichiarazioni del presidente americano. La vera causa sarebbe infatti da rintracciare nell’arrivo a Copenaghen di Barack Obama pochi giorni dopo la visita di Trump. Secondo Frum, una volta appresa la notizia, Trump sarebbe rimasto terrorizzato dal confronto tra l’accoglienza riservata ai due presidenti e avrebbe iniziato a cercare un pretesto per far saltare l’incontro, trovando nella Groenlandia un casus belli ideale, per quanto surreale.

A chiudere tutta la discussione sarebbe comunque dovuta bastare la dichiarazione della premier danese Frederiksen, secondo la quale «la Groenlandia non è in vendita, la Groenlandia non è danese, la Groenlandia appartiene alla Groenlandia e spero sinceramente che tutto questo sia solo uno scherzo».

Invece la questione diventa sempre più seria e ora anche la premier islandese ha dichiarato che non incontrerà il segretario di Stato, Mike Pompeo, in arrivo a breve in Islanda. Intanto, ogni giorno oltre 10 miliardi di tonnellate d’acqua continuano a sciogliersi e riversarsi negli oceani, innalzando il livello del mare e contribuendo alla crisi climatica. Qualcosa su cui probabilmente soltanto Donald Trump potrebbe voler scherzare oppure, peggio ancora, profittare.

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