In Russia è difficile e pericoloso decidere di contestare le scelte del presidente-autocrate Vladimir Putin: è arduo in generale, lo è tanto più se si critica la “sua” guerra scatenata contro l’Ucraina. Infatti ogni giorno centinaia di contestatori pacifisti vengono arrestati nelle piazze di Mosca e di altre città. Non solo: una parte significativa degli scienziati e dei giornalisti scientifici russi si è schierata contro l’aggressione militare. L’hanno definita, con parole che sono pietre, “un passo verso il nulla”. Com’è successo? Il professor Mikhail Gelfand ‒ 58 anni, biologo esperto in genomica comparativa, specialista di bioinformatica all’Istituto di Scienza e tecnologia Skolkovo di Mosca ‒ il 24 febbraio ha promosso una lettera aperta (qui il testo in russo) e una raccolta di firme su TrV-Nauka (nauka in russo significa “scienza”), sito indipendente di notizie. La lettera è stata sottoscritta in pochissimo tempo da parecchie migliaia di suoi colleghi e da molti giornalisti che si occupano di temi scientifici.

Nell’appello non si usano mezzi termini. Inizia così: «Noi, scienziati e giornalisti scientifici russi, dichiariamo una forte protesta contro le ostilità lanciate dalle forze armate del nostro Paese sul territorio dell’Ucraina. Questo passo fatale porta a enormi perdite umane e mina le basi del sistema consolidato di sicurezza internazionale. La responsabilità di scatenare una nuova guerra in Europa è interamente della Russia». La lettera continua sottolineando che «non c’è una giustificazione razionale per questa guerra. I tentativi di usare la situazione nel Donbass come pretesto per lanciare un’operazione militare non ispirano alcuna fiducia. È chiaro che l’Ucraina non rappresenta una minaccia per la sicurezza del nostro Paese. La guerra contro di lei è ingiusta e francamente insensata».

Non si manca di ricordare i forti e antichi legami tra i due Paesi: «L’Ucraina è stata e rimane un Paese a noi vicino. Molti di noi hanno parenti, amici e colleghi scientifici che vivono in Ucraina. I nostri padri, nonni e bisnonni hanno combattuto insieme contro il nazismo. Scatenare una guerra per il bene delle ambizioni geopolitiche dei vertici della Federazione Russa, spinti da dubbie fantasie storiografiche, è un cinico tradimento della loro memoria.

Rispettiamo la statualità ucraina, che si basa su istituzioni democratiche realmente funzionanti. Trattiamo la scelta europea dei nostri vicini con comprensione. Siamo convinti che tutti i problemi nelle relazioni tra i nostri paesi possano essere risolti pacificamente».

Le considerazioni toccano anche un altro tema: l’isolamento in cui gli scienziati russi saranno relegati a causa delle recenti sanzioni contro il regime putiniano. «Dopo aver scatenato la guerra, la Russia si è condannata all’isolamento internazionale, alla posizione di Paese paria», si legge nell’appello lanciato dal professor Gelfand. «Ciò significa che noi scienziati non saremo più in grado di svolgere normalmente il nostro lavoro: del resto, condurre ricerca scientifica è impensabile senza la piena collaborazione con i colleghi di altri paesi». Poi: «L’isolamento della Russia dal mondo significa un ulteriore degrado culturale e tecnologico del nostro Paese in totale assenza di prospettive positive. La guerra con l’Ucraina è un passo verso il nulla». Infine: «È amaro per noi renderci conto che il nostro Paese, insieme ad altre repubbliche dell’ex Unione Sovietica, che hanno dato un contributo decisivo alla vittoria sul nazismo, è ora diventato l’istigatore di una nuova guerra nel continente europeo. Chiediamo l’arresto immediato di tutte le operazioni militari dirette contro l’Ucraina. Chiediamo il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dello Stato ucraino. Chiediamo pace per i nostri paesi».

Il professor Gelfand (che ha una moglie con metà delle radici in Ucraina), ha spiegato in un’intervista a Science (pubblicata dall’American Association for the Advancement of Science, una delle più prestigiose riviste del settore, insieme a Nature) le ragioni della sua scelta. Alla domanda «Che cosa spera di ottenere con la lettera aperta?», ha risposto: «Tre cose. Prima di tutto, far capire che la comunità scientifica russa non coincide con la leadership russa. La seconda cosa: dimostrare ai nostri colleghi ucraini che ci opponiamo a ciò che il nostro governo sta attuando e stiamo facendo il possibile per fermarlo. Terzo: far comprendere tutto ciò anche alla comunità internazionale, nella speranza che qualsiasi azione per punire la Russia sia ponderata, in modo tale da non punire proprio le persone che si oppongono a ciò che la Russia sta facendo».

Insomma, coloro che osano contestare la scelta bellica di Putin non sono ancora la maggioranza, però sono una folta minoranza, molto qualificata e significativa. Lo dimostra l’appello degli scienziati. Come ha sostenuto Andrea Borelli, storico dell’Unione Sovietica e della Russia, su Il Manifesto, riferendosi alle manifestazioni pacifiste e anche all’appello appena citato, «c’è qualcosa su cui varrebbe la pena di porre attenzione in Europa, per definire una strategia di pace: le proteste nelle piazze russe». Ha aggiunto: «Sono eventi non scontati. Parliamo di un paese retto da un regime autoritario, dove non è possibile mostrare apertamente dissenso sulla linea del Cremlino, pena il rischio per la propria stessa incolumità». Le persone che firmano appelli o prendono posizioni pubbliche «sono consapevoli del fatto che potrebbero perdere il loro posto di lavoro o peggio». Dunque, «questi eventi ci ricordano una cosa: la Russia non è semplicemente Putin e il suo regime... Ci ricordano che Putin non è eterno, che una Russia diversa c’è già, nonostante tutto».

Immagine: Agenti di polizia trattengono una donna in piazza Pushkin durante una manifestazione contro la guerra, Mosca, Russia (27 febbraio 2022). Crediti: Konstantin Lenkov / Shutterstock.com

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