Le elezioni amministrative hanno spesso un significato politico che va oltre la contingente competizione elettorale. Proprio per questo, è sempre opportuno provare a leggerne i risultati immaginando quali scenari possibili possano tracciare. A volte, molto semplicemente, l’esito conferma gli assetti esistenti e consolida il profilo e il peso politico dei vincitori. Altre volte, invece, il day after ci offre l’opportunità di evidenziare nuove tendenze che il tempo avrà il compito di confermare o di smentire. A queste regole di buon senso politico non fa eccezione un continente complesso come l’America latina, dove la scorsa domenica si sono tenute le elezioni amministrative nel paese più rappresentativo, il Brasile. Nel caso di specie, la competizione elettorale, oltre a quello fra i partiti in corsa, avrebbe dovuto misurare lo stato di salute del Governo federale, guidato dalla Presidente Dilma Rousseff da meno di due anni. Un primo dato esce incontrovertibile: il governo ne esce rinforzato e la Presidente consolida il suo consenso nel paese e all’interno del suo stesso partito. È stata altresì premiata la coalizione di governo, seppur riveduta e corretta secondo le alleanze spurie che sempre le regioni sono in grado di confezionare. Ma c’è altro e non è un caso che l’attenzione dei media e degli osservatori internazionali fosse puntata, in particolare, sul risultato di una città sopra tutte, São Paulo, megalopoli di quasi dodici milioni di abitanti e che il Partido dos Trabalhadores, PT (http://www.pt.org.br), dopo due appuntamenti elettorali falliti, è riuscito a riconquistare. Perché, se ha vinto Fernando Haddad con il 55,57% dei voti contro José Serra, un veterano del Partido da Social Democracia Brasileira, PSDB (http://www.psdb.org.br/), è pur vero che la competizione ha evidenziato ben altro, come proverò a dimostrare. Quando un anno fa si cominciò a parlare di Haddad quale probabile candidato, il nostro raggiungeva appena il 2% nelle intenzioni di voto. Tra l’altro, non risultava neppure la “prima scelta” tra i compagni del suo PT. Scalando i sondaggi, settimane dopo settimane, si è presentato alla vigilia del primo turno al terzo posto, dietro a Celso Russomanno del Partido Republicano Brasileiro di centro-destra (http://www.prb.org.br/), e allo stesso Serra. Alle urne, il 6 ottobre, i sondaggi dei giorni precedenti erano totalmente ribaltati: Russomanno usciva di scena e Serra si piazzava primo con il 30,75% dei consensi, a pochi punti percentuali da Haddad, che chiudeva la prima tornata con un eccellente 28,98%. Non ce l’avrebbe fatta, Haddad, senza l’aiuto di Lula. L’ex Presidente lo ha imposto come candidato del PT quando era solo un outsider. È sceso in campo al suo fianco, minato nella forza ma non nello spirito dai postumi di un tumore, per battere la città palmo a palmo, farlo conoscere e imporlo all’attenzione dell’opinione pubblica come la migliore scelta per le sfide che attendono la città e il Brasile intero nei prossimi anni. Ancora una volta, hanno avuto ragione il suo fiuto politico e il suo innato carisma: Lula ha creato un vincitore, come aveva fatto, peraltro, con la semisconosciuta Dilma Rousseff quando, a sorpresa, la presentò come la candidata del PT alle presidenziali. È per questo che non è apparso affatto fuori luogo che nel primo discorso da Sindaco, Haddad abbia ringraziato proprio il suo mentore per la fiducia accordatagli, i consigli e l’appoggio profuso, riconoscendone l’apporto fondamentale per la sua vittoria. Ha avuto un peso, ovvio, anche la macchina partitica del PT, che nella città paulista ha un bacino elettorale di circa il 30% degli elettori. In ogni caso, che la capitale finanziaria si risvegliasse petista e lulista non era affatto scontato. Ma è a un’altra analisi del voto, forse più lungimirante, a cui voglio riferirmi e che spetta a un altro padre nobile della politica brasiliana, al fondatore del partito di opposizione al governo federale, Fernando Henrique Cardoso. La sua considerazione, infatti, guarda al futuro, alle presidenziali del 2014 e marca gli scenari futuri per il Brasile. Parla al suo partito, l’anziano sociologo, per riflettere, in realtà, sulla politica brasiliana nel suo complesso. FHC ha ammesso che servirà una maggiore vicinanza alle istanze del popolo brasiliano e che sarà necessario saper cogliere sempre più le esigenze che le nuove generazioni sollecitano. Abbastanza scontato. Non altrettanto lo sono le conclusioni del suo ragionamento che, manco a dirlo, segnano il dibattito post voto. Per portare a termine questo programma, conclude infatti l’ex Presidente, servirà un profondo rinnovamento nelle figure politiche chiamate a incarnare queste istanze. In altri termini, per FHC, si chiude una parentesi politica, quella della transizione democratica, e il Brasile, potenza economica ed esempio in America latina di consolidamento delle istituzioni democratiche, è ormai pronto perché una nuova generazione politica e una nuova classe dirigente si facciano pienamente carico e interpretino il salto di qualità. È cominciata l’era 3.0 e il vecchio gruppo dirigente deve trarne le dovute conseguenze. Non c’è chi non abbia visto in quest’analisi precisi riferimenti politici, in primis, al suo stesso partito. José Serra, infatti, pur incarnando una traiettoria politica illustre e prestigiosa, non è stata la scelta migliore da contrapporre a Haddad. Dopo aver corso - e perso – le presidenziali nel 2002 e nel 2010, essere stato Governatore e Sindaco di San Paolo, deputato, senatore e ministro, farsi catapultare di nuovo nella politica paulista è sembrata una decisione contro natura. Per lo meno antistorica. La megalopoli non è un buen retiro in attesa della pensione ma, al contrario, pone tante e tali sfide (mobilità, sostenibilità ambientale, infrastrutture, urbanistica) da non ammettere cali di tensione. Solo per informazione, visto che FHC ha evocato il rinnovamento e che questo non nasce dal nulla ma, al contrario, soprattutto in politica, si costruisce con pazienza e determinazione, il PSDB già da qualche anno fa scaldare all’angolo del ring Geraldo Alkmin, l’attuale governatore e rivale di sempre proprio nello Stato di San Paolo, e Aecio Neves senatore e ex governatore di Minas Gerais. Due figure che escono consolidate dall’ennesima sconfitta di Serra e legittimate in vista del 2014. Aecio, tra l’altro, ha messo un altro tassello in Minas Gerais facendo eleggere il “suo” candidato a Belo Horizonte. Perché se è vero che il PT esce bene dalla competizione elettorale - nonostante il processo per corruzione davanti alla Corte suprema che ha coinvolto alcuni importanti figure del partito (lo scandalo del mensalão) - il panorama politico appare quanto mai composito e articolato. C’è la rivalità PT-PSDB ma si consolida e comincia a preoccupare la forza politica del Partido Socialista Brasileiro, PSB (www.psb.org.br) di Eduardo Campos, i cui candidati hanno sconfitto quelli del PT a Belo Horizonte, Recife a Campinas e amministreranno anche Cuiabá e Fortaleza, per un totale di 11 tra le maggiori città del Brasile. Un giovane promettente e molto stimato che comincia a farsi conoscere anche all’estero come una figura da osservare con attenzione. È tra questi nomi nuovi che si giocherà la partita delle prossime presidenziali. Con Dilma Rousseff favorita su tutti. A meno che il solito Lula non tiri fuori un jolly che, al momento, sfugge ai riflettori.
31 ottobre 2012